(Lettera non datata,
presumibilmente inverno 1979/80 – la firma è illeggibile, la provenienza è
quasi certamente Bologna)
Ai compagni
della redazione
Che
l’Ambigua Utopia dopo i primi numeri frizzanti, pieni d’ingenuità ma anche
d’entusiasmo, s’accingesse a imboccare la strada della professionalizzazione,
questo era facilmente prevedibile e previsto. Ma forse non ci si era resi
conto, allora, galvanizzati presumibilmente da un insperato successo, che
questa strada era gravida di trabocchetti, di accomodamenti ed esigenti
“Sponsors”, del successo barattato con l’autocensura o con un dosato
pluralismo: insomma, in agguato c’era la normalizzazione della Rivista e la
perdita di ogni sua incisività sovversiva. E così è puntualmente accaduto. Gli
ultimi due numeri dell’A.U. (nuovo corso, gestita dal factotum “redattore capo”
Antonio Caronia che ben si rapporta all’altra onnivora macchina editoriale
fantascientifica incarnata da Ugo Malaguti), sono talmente brutti, banali,
insignificanti, scontati, caserecci, superficiali, smodatamente velleitari, che
se non fosse per l’ostentata etichetta di sinistra, si sarebbe tentati di
scambiare l’A.U. per uno dei numeri mediocri di Robot gestiti da quell’altra
fanfaluca di V. Curtoni. Ma quale sinistra, poi? Dichiararsi nel “Movimento”
oggi non basta più. Primo, perché la prerogativa del moto non ci compete più,
visto che a questo irresistibile dinamismo sono tentati pure tutti i
politicanti delusi e rigettati dalle masse e ora invasati da un nuovo furore
utopico (non ultimo Pietro Ingrao); secondo, perché l’immagine stereotipata e
falsa di un Movimento radicale, creativo e a volte violento, ma in fondo
animato da buone intenzioni e pronto a tendere le braccia ad ogni borghese
convertito, è decisamente caduta, o meglio non è mai esistita se non nella
mente di chi intendeva speculare e gratificarsi nella sovversione sociale.
Ragione per cui, l’A.U. è nel Movimento, oggi, tanto e quanto l’Intrepido e
forse meno (senz’altro molto meno di Goldrake e di Metropoli, su versanti
opposti, ben s’intende). L’immaginario sociale è oggi ricco di fantascienza,
trasuda spettacoli e paradossi in ogni suo frammento vitale, registra una
vertiginosa circolazione di messaggi e d’immagini fantascientifiche: su questo
terreno, dell’immaginario appunto, sarebbe possibile intervenire subito,
fissandone i momenti, commutandone le parti, sovvertendone i codici,
innervandolo di pratica rivoluzionaria e devastante. Ma un’incredibile impasse
teorica vi impedisce, perfino di registrare la circolazione utopica che oggi è
in atto, e non è un caso che questo ritardo teorico testimonia del vostro
possibilismo politico, della vostra incapacità (sospetta) di scegliere
definitivamente fra la sovversione autonoma e l’immagine rassicurante
dell’intellettuale radicale ed arrabbiato all’ombra delle istituzioni (e delle
maggioranze silenziose col fucile puntato – attenti! -). Se almeno foste un
discreto bollettino d’informazione fantascientifica! Ma anche su questo terreno
vi sopravanza perfino Cosmo informatore, ahimè! Grave e disarmante è il
provincialismo culturale dei suoi redattori, sempre in bilico fra la tentazione
didascalica di spiegare l’evoluzione come fa ogni buon normale liceale (vedi
penultimo numero) e la citazione “a la page” di Baudrillard. Possibile, sempre
per restare in tema, che non vi siate accorti di essere un risibile simulacro
(che ne direbbe Jean Antoine Caronià?), e di trasformare in macchina da guerra
il totem che vi seduce? Smetto di fare il rompiballe e il guastatore (c’è ben
altro da guastare!). Già colgo le invettive di rimando… E’ evidente che esigo
una risposta.
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