(Un'Ambigua Utopia anno III n. 1 gennaio-febbraio 1979 p. 20. Ristampato in Un'Ambigua Utopia. Fantascienza e radicalità negli anni '70, Mimesis, Milano, 2009 vol. I)
Se c’è un autore che ha cercato di dimostrare pressoché in tutta la sua opera, che i diversi, gli anormali, quelli che, sulle labbra o nel cervello dei “normali” sono gratificati spesso e volentieri del titolo di “mostri”, possono ben essere in realtà i migliori fra noi, quello è Theodore Sturgeon.
A lui dobbiamo alcuni fra i ritratti e le
storie più belle che ci abbia dato la fantascienza su questi “mostri”: dalle
deformità della gente del circo (Cristalli
sognanti)1 agli idioti e i mongoloidi (Nascita del Superuomo), fino agli omosessuali (Venere più X, Un mondo proprio perduto). E questo, badate bene, ben
prima della new wave, la
controcultura, il ’68: Cristalli sognanti
è del 1950, del 1953 Nascita del
Superuomo. Di questo sarebbe ingeneroso non essergli grati; come di aver
introdotto (anche stavolta, in tempi che in generale non erano troppo propizi a
queste cose) una cura e una raffinatezza stilistica ben più corposa
dell’autocompiacimento manierato e a lungo andare vagamente nauseabondo di
Bradbury. Ma questi sono del resto risultati acquisiti dalla critica, e non
vale la pena di fermarcisi sopra oltre. Quello che, per una volta tanto, sarà
bene fare è andare a vedere il più impietosamente possibile i limiti della sua
opera e della sua concezione.2 Limiti che, se non ho capito male,
non mi sembrano precisamente quelli indicati da Curtoni e Lippi in un recente
libro: mi sembra almeno impreciso (e fuorviante) dire che “il limite massimo di
tutta la sua produzione” consiste in “un vago umanitarismo di base che non è
affatto sorretto da una concreta ideologia politica”3. La
conseguenza che (sicuramente contro il parere dei suddetti autori) se ne
potrebbe trarre è che “una concreta ideologia politica” (insieme con un buon
stile) garantisce la validità delle opere; e anche se a “ideologia politica” si
aggiunge il complemento “di sinistra” questa è una tesi che non ci trova
proprio d’accordo (anche se pseudo-critici e fanzinisti di tutta Italia –
cattivi lettori ma anche cattivi ideologhi, cosa di cui da tempo siamo convinti
– si ostinano ad attribuirci nei loro bollettini interni questa e altre
peggiori nefandezze).
Qual è dunque, quale può essere il limite
di Sturgeon? Il discorso che Sturgeon costruisce, opera dopo opera, sul
mutante, è pressappoco il seguente: “Noi abbiamo, chi dice un decimo, chi due
terzi del cervello, che non usiamo, o che usiamo ma senza sapere perché. E se
non lo scopriamo e non esercitiamo queste capacità, potrebbero scomparire”4.
Bisogna dunque cercare l’”uomo ottimale”; il quale, d’altronde, può già vivere
tra di noi. Ma noi rischiamo di non accorgercene, perché la veste sotto cui si
nasconde può essere la più varia. Ed è sempre più probabile che l’”uomo
ottimale”, o il suo diretto antenato, sia appunto un anormale, un marginale, un
“mostro”. Uno insomma, che faticherà non poco a farsi “accettare” dagli altri,
dai normali: e da qui il rischio, il rischio di perdere questa “mutazione
benefica” senza che abbia potuto svilupparsi appieno. L’”uomo ottimale” di
Sturgeon rappresenta, nella pienezza del suo sviluppo, un’altra specie? A volte
pare di sì, a volte di no. Il Robin English di Maturità (1947)5 non è che un essere umano
particolarmente dotato, a cui un intervento chirurgico permette di raggiungere
livelli di comprensione eccezionali, come del resto il Gorwing di Gente (1960)6 che la
telepatia condanna a percepire i bisogni più segreti di tutti; a metà fra
l’umano e l’alieno è Horty, che i cristalli hanno copiato da un essere umano
dotandolo però di poteri eccezionali7, mentre in Nascita del superuomo (1953)8
l’interazione di cinque umani apparentemente subnormali o disadattati dà luogo
ad una nuova specie, l’Homo Gestalt.
Ognuno di questi personaggi (ai quali limitiamo, per comodità, le
esemplificazioni) deve, in genere, percorrere la lunga strada
dell’apprendistato, deve conquistare la comprensione della sua vera natura, che
il rapporto con gli altri ostacola.
Ora la “filosofia” di Sturgeon, la sua
visione del mondo, è largamente ispirata ad un materialismo un po’ vago, di stampo
prevalentemente neopositivistico. Il suo credo è un evoluzionismo, in fondo,
ottimistico: egli è segretamente convinto che l’umanità finirà per imboccare la
strada della mutazione positiva, e, al limite, del suo superamento come specie.
Naturalmente Sturgeon sa benissimo che l’ostacolo è nell’uomo stesso, perché
“tutta la vita terrestre deriva e opera
da un solo comando imperativo: sopravvivere!”9.
Per questo gli uomini hanno paura dell’Homo
Gestalt; mentre Monetre, il Cannibale, è vittima anch’egli (Sturgeon lo
accenna appena) dell’invidia dei mediocri per chi è molto superiore a loro. Il
fatto è che Sturgeon non ha una chiara percezione dei meccanismi reali, più
profondi, di esclusione e di emarginazione. Non ha, insomma, un discorso sul
potere: e per questo la rappresentazione della vita dei “diversi” nei confronti
del resto della società risulta sempre, in fondo, così astratta: per questo c’è
sempre uno stacco così profondo fra la descrizione dei sentimenti, della vita
quotidiana, dei rapporti umani immediati, di questi esseri, e le divagazioni
filosofico-moraleggianti a cui Sturgeon quasi mai sa rinunciare (questo vale
anche per il finale, in genere così apprezzato, di Nascita del superuomo).
Forse è in Maturità, agli inizi della sua carriera, che Sturgeon è andato più
vicino che altrove ad una comprensione più profonda dei meccanismi sociali di
esclusione dei mutanti. Quando Robin discute sul concetto di maturità con i
suoi occasionali amici nei bar, ad un certo punto se ne esce con una frase del
genere: “Un piede equino, un occhio cieco, un complesso di Edipo non producono,
di per sé, nessun conflitto, ma soltanto in relazione con l’altra gente, con ciò che noi definiamo società. Così
ciò che si sforza di compiere la moderna psichiatria è di far maturare i
soggetti non in termini di evoluzione individuale, ontogenetica, ma unicamente,
e necessariamente, in base ai parametri stabiliti dalla società, la quale di
per sé è illogica, non funzionale e immatura”10. E poco dopo
suggerisce una definizione della “maturità in termini di una società fatta
d’individui, non convenzionale, non oppressiva”. Non è la mancanza di
un’ideologia politica precisa che dobbiamo rimproverare a Sturgeon, neppure il
suo disinteresse per la politica: è la mancanza di approfondimento degli spunti
che qua e là pure si trovano nelle sue opere, la mancanza di profondità del suo
discorso sulla società, e, quindi, sull’uomo11.
Dispiace di più, per esempio, che anche in
un racconto come Gente (in originale Need, cioè bisogno) Sturgeon sprechi
ancora una volta l’occasione, affrontando un discorso così importante (e così
vicino oggi, a noi) come quello dei bisogni della gente, e giri intorno al
nocciolo del problema, che è quello della struttura dei bisogni individuali e
collettivi in rapporto alla società. Ancora una volta l’individualismo è la sua
forza (“Le cose di cui la gente ha bisogno e le cose da cui ha bisogno di
essere difesa sono cose di tutti i tipi: nessuno di loro è un mostro, se il suo
particolare bisogno è diverso dagli altri”)12, ma poi tutto si perde
nel bozzettismo di provincia; e la figura del mutante telepatico diventa quella
di un simpatico boy-scout che aiuta la gente a risolvere i suoi problemi. Be’:
non si può chiedere a Sturgeon più di quello che può dare; gli si può chiedere,
però, questo sì, di stare un po’ più attento quando si fa intervistare da
Sebastiano Fusco e di protestare quando (a sproposito) gli si fa dire che ha le
stesse idee di Julius Evola13.
Nota 1: Non ho trovato
traccia, in nessun articolo, intervista, prefazione, ecc., di una conoscenza
diretta da parte di Sturgeon del film Freaks
di Tod Browning, che è del 1932. Senza sopravvalutare il parallelismo,
alcune affinità sono evidenti.
Nota 2: Forse non sarà
sempre più utile, ma sicuramente è sempre più stimolante cercare le magagne
degli autori che si amano di più. Nei libri e nei film brutti il marchio
dell’ideologia è in genere riconoscibile a prima vista.
Nota 3: V. Curtoni – G.
Lippi, Guida alla fantascienza,
Gammalibri, Milano, 1978, p. 119
Nota 4: La citazione è
tratta da una contesa intervista
rilascita da Sturgeon allo SFIR del 1976; la riportiamo
dall’introduzione a T. S., La stirpe di
Giapeto, Fanucci, Roma, 1978, p. 28
Nota 5: T. Sturgeon,
Viano e altri, Maturità, Galassia
223, CELT, Piacenza 1977
Nota 6: T. Sturgeon, Gente, in Robot, n. 3, 1976
Nota 7: T. Sturgeon, Cristalli sognanti, Libra, Bologna, 1973
Nota 8: T. Sturgeon, Nascita del superuomo, Nord, Milano,
1974
Nota 9: Cristalli sognanti, cit., p. 226
Nota 10: Maturità, cit., p. 48
Nota 11: Per non
parlare (scusate il giro di parole) del discorso sulla donna: sospetto che
un’analisi appena approfondita del modo in cui Sturgeon (e altri autori) tratteggiano i loro
personaggi femminili possa essere di grande interesse anche per capire meglio
le ragioni più profonde della loro opera. Del resto a critiche da questo punto
di vista non si sottraggono neanche le autrici: vedi per tutte Ursula Le Guin,
che pure presenta limiti molto meno marcati di Sturgeon, relativamente
all’ottica che ho adottato in questo breve articolo.
Nota 12: Gente, cit., p. 50
Nota 13: V. l’”a parte”
di Fusco nell’intervista già citata, p. 27. Il carattere del tutto gratuito di
questa osservazione non ha bisogno evidentemente di essere dimostrato.
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