Linus
novembre 1983
Rivendicano un loro “fascismo” (sia pure in senso
nostalgico, più nel senso di fascismo-movimento che in quello del
fascismo-Stato), ma poi scrivono: “A un potere che ha fatto propria la
simbologia e la prassi della morte, non si può che rispondere lottando per la
vita, quella vera, quella dei non garantiti”. Inalberano ancora il motto “Il
nostro onore si chiama fedeltà” ma parlano di nuovi giovani, di frammentazione
contemporanea del linguaggio, di egemonia culturale. Leggono Evola ma anche
Baudrillard, e quando parlano di se stessi e del proprio passato ammettono
senza imbarazzo di avere anche imparato dai loro compagni di scuola di
sinistra. Che i giovani di destra in tutti questi anni, non abbiano vissuto in
mezzo a un deserto, ce lo potevamo immaginare. Ma quello che è più interessante
è capire come una parte di essi sia evoluta, quali percorsi abbiano fatto, come
mai appaiono (lo osservava Giovanni Tassani nell’incontro su “Sinistra e Nuova
destra” del dicembre scorso a Firenze) più attrezzati dei loro coetanei di
sinistra ad affrontare questa nuova fase di dopo-guerra civile. “Sorpresi”,
come essi stessi confessano a volte, dal Sessantotto, i giovani di destra hanno
attraversato gli anni Settanta subendo l’egemonia culturale e (dove più, dove
meno) l’impatto fisico della sinistra. Hanno imparato a proprie spese gli
effetti paralizzanti della polarità, a destra, fra le posizioni di tipo
reducistico e nostalgico e quelle della lotta armata. Hanno dovuto, anche loro,
fare i conti politici e pratici con le proprie “variabili impazzite”. Poi ,
poco a poco, ne sono usciti. Una larga parte di loro, attraverso l’esperienza
dei tre campi Hobbit del 1977, ’78 e ’80 e della formazione dell’area della
Nuova destra, dopo un periodo di permanenza fuori dal Msi in attesa che Rauti
trovasse una collocazione interna più stabile, si è dedicata alla
riorganizzazione del Fronte della Gioventù. Il Fronte è un’organizzazione che
in molte città, rispetto all’immobilismo o alle incertezze della sinistra,
appare in crescita di iniziativa e, forse, di successo. I responsabili del FdG
di Milano, dove più che altrove si era fatta sentire la stretta della sinistra
e dell’”antifascismo militante”, parlano orgogliosi dei nuovi circoli sorti l’ultimo
anno in provincia, dei convegni e delle assemblee, del lavoro di selezione e
formazione dei quadri, della tiratura del loro giornalino, “Fare fronte”,
arrivata nel corso dell’anno a 2000 copie. Si tratta, come si vede, di un’organizzazione
ancora modesta rispetto alle dimensioni dei gruppi extraparlamentari di dieci
anni fa e della Cl di oggi, ma è la linea di tendenza che indica la crescita.
Appaiono sicuri di sé, culturalmente aggiornati, consapevoli delle difficoltà
ma fiduciosi nella loro linea. “Quando abbiamo ripreso la militanza nel Msi”,
dice Marco Valle, segretario del FdG di Milano, “abbiamo trovato una situazione
di frammentazione anche nelle nostre aree giovanili. Più che aggregazioni
politiche, c’erano bande e circoli che si dicevano fascisti, ma il cui punto di
riferimento era più che altro musicale o sportivo. Del resto questa è la
caratteristica dei giovani di questi anni, essenzialmente nichilisti, molto
meno permeabili alla politica delle generazioni precedenti, di destra e di
sinistra. Dobbiamo evidentemente adattare il nostro linguaggio, comprendere le
loro specificità”. “E anche”, aggiunge il vicesegretario Luca Bertazzoli, “individuare
i luoghi e i meccanismi della loro socializzazione primaria. A Milano, adesso,
stiamo appunto discutendo se la scuola sia uno di questi luoghi, cosa che a noi
sembra sempre più dubbia”. A questo livello dell’analisi le considerazioni, a
volte anche assai articolate, sono molto simili a quelle della sinistra (il che
dimostra comunque, che un certo inserimento sociale ce l’hanno). Ma mentre a
sinistra l’analisi del mondo giovanile e la fine dell’ubriacatura ideologica
produce il più delle volte cautela, tendenza a rimanere il più possibile
aderenti a un terreno di rivendicazioni immediate, qui è diverso. “Ai giovani”,
è sempre Valle che parla, “noi vogliamo far riscoprire il gusto della politica,
ma non nei termini dei giochi di piccolo cabotaggio: la politica la concepiamo
come sogno, come avventura, anche come mito, mito della rivoluzione. Il
superamento rivoluzionario del capitalismo è l’esigenza centrale di questi
anni, dopo che le vecchie antitesi, fascismo/antifascismo, destra/sinistra si
sono del tutto logorate. E oggi il nemico principale fra i giovani è la
presenza neo-moderata di Cl”. E l’estrema sinistra? “Non abbiamo preclusioni
nei loro confronti”, dice Bertazzoli, “come ne abbiamo invece verso la Fgci,
che consideriamo una forza reazionaria. L’antifascismo militante, d’altra
parte, è morto e sono ben altri i problemi su cui si deve misurare chi vuole
far politica fra i giovani oggi: il post-terrorismo, il problema dei missili e
dell’indipendenza nazionale, i nuovi saperi che crescono in una situazione di
grave crisi”. Questa tendenza a privilegiare discorsi generali rispetto a
obiettivi immediati è naturalmente indizio di una debolezza della giovane
destra, perché indica un radicamento ancora scarso in situazioni concrete. Ma
potrebbe anche essere, in certe condizioni, un punto di forza, se consentisse
loro una certa aggregazione di giovani “nostalgici” di sicurezze, idee-forza,
ideologie. Il loro discorso sull’indipendenza nazionale sa molto (né essi lo
nascondono) di gollismo: la loro opposizione è ai missili americani, mentre
vedrebbero di buon occhio un armamento atomico nazionale. Il loro collocarsi
nella “galassia fascista”, pur con un’accentuazione mistica e neo-romantica, è
indubbio. E poi, dal punto di vista delle ascendenze storiche, fanno comunque
parte di quella destra radicale che (come Giorgio Galli ha spiegato così
lucidamente) si rifà a una tendenza ben viva della cultura occidentale,
anti-ugualitaria, anti-illuministica e per così dire, “tradizionale”. Ma, vista
l’ampiezza del terremoto ideologico e politico a sinistra, chi se la sente più
di custodire certi steccati? Il “pensiero della differenza” non è oggi discusso
(e spesso, in una qualche variante, assunto) anche a sinistra? La rivalutazione
delle culture regionali e delle tradizioni popolari non è uno dei caratteri
anche della nuova cultura politica, della sensibilità dei giovani di sinistra?
E i giovani di destra, quando proclamano la loro tenace avversione all’”american
way of life”, non riprendono in fin dei conti un punto centrale della visione
politica della sinistra, nuova e giovane, della fine degli anni Sessanta (al
punto di ricalcarne, a volte fin troppo smaccatamente le formulazioni)? Ma
neppure su questo c’è da stupirsi, perché sulle “coincidenze” fra un certo
Evola e un certo Adorno, negli ultimi tempi, qualche luce è stata fatta. Il
punto è semmai vedere quale grado effettivo di comprensione (e di
trasformazione) della realtà siano in grado di assicurare queste posizioni – di
destra o di sinistra che siano – di derivazione “apocalittica”. Il fatto è che
il linguaggio e l’ispirazione dei giovani del Fronte, quando si va un po’ a
fondo, assomiglia molto più a quello della Nuova destra che a quello della
dirigenza del Msi. E se le soluzioni date ai problemi sono quasi sempre
discordi, resta il fatto che i titoli dei problemi siano quasi sempre gli
stessi, fra i giovani di sinistra come fra quelli di destra. Il che, in una
fase di transizione come quella che viviamo, è forse la cosa più importante, se
è vero che l’individuazione dei problemi condiziona già in buona parte le
risposte.
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