Linus gennaio 1984
Mettere insieme un’antologia è un lavoro che mi è sempre apparso improbo, faticoso e vagamente blasfemo. So bene che è un’idiosincrasia stupida, perché sempre nella vita si tratta di operare scelte, di accettare qualcosa e di respingere qualcos’altro. ma per un pigro come me, che aspetta sempre che le cose gli arrivino addosso e solo in circostanze eccezionali è capace di imboccare coscientemente una strada, fare un'antologia – lo ripeto – sarebbe operare un'inaccettabile violenza sul vasto complesso delle opere entro cui operare la scelta, un complesso che nelle circostanze date assume le vesti spaventose della “realtà”. Ecco perché ammiro incondizionatamente il lavoro di Italo Calvino, che, armato di competenza, decisione e modestia, ci offre una rassegna per niente scontata della produzione fantastica del secolo scorso (Racconti fantastici dell'Ottocento 2 voll. In cofanetto, pp. 286- 264, Mondadori, L. 12.000). Ho detto competenza perché (ed è ovvio) Calvino conosce bene il filone che è poi l'antecedente più o meno remoto di gran parte della sua produzione; decisione perché si è assegnato l'obiettivo di offrire un panorama più vasto possibile del genere considerato, anche a prezzo di tagli dolorosi (un solo racconto per autore, e come metterla quando l'autore è Hoffmann, o Gogol, o Poe?); ma anche modestia perché – a differenza di altri compilatori di antologie dello stesso argomento, e cito per tutti Borges e Casares – è riuscito a sfuggire alla tentazione di presentare una scelta che comprendesse quasi solo i suoi “ideali predecessori” (una debolezza che, perdoniamo volentieri a Borges e Casares e alla loro Antologia della letteratura fantastica, presentata in italiano un paio di anni fa dagli Editori Riuniti). Questo non significa che il temperamento e la sensibilità di Calvino non si sentano in questa antologia. A me sembra che esse traspaiano più che altro in certe scelte (come quelle dei racconti di Leskov, di Villiers de L'Isle-Adam o di Maupassant, non a caso inserite nella sezione detta del “fantastico quotidiano”) che presentano dei testi forse poco classificabili a prima vista come “fantastici”, ma sintomatici per la loro ambiguità, per lo scorcio inedito e imprevisto che ci offrono su situazioni altrimenti del tutto verosimili. Una dimostrazione in più, come osserva Calvino stesso nella sua introduzione, che “il fantastico dice cose che ci riguardano direttamente”, poiché “alla nostra sensibilità d'oggi l'elemento soprannaturale al centro di questi intrecci appare sempre carico di senso, come l'insorgere dell'inconscio, del represso, del dimenticato”. Come (ritorno a un tema che mi è caro, anche se forse è solo uno fra i tanti) l'improvviso animarsi autonomo di certi parti del corpo umano (il naso, l'occhio, la mano) che ritorna con una certa insistenza nei racconti antologizzati.
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