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lunedì 8 maggio 2023

Antonio Caronia: Introduzione a I libri del Possibile

 


Quando si parla di fantascienza fuori dalle riviste o dalle pubblicazioni specializzate non si sa mai bene che pesci pigliare. La ragione principale è che non si sa mai a chi si parla: a lettori abituali di fantascienza, a lettori occasionali o a gente che ne ha soltanto sentito parlare? Il destinatario del discorso, in questo caso, è doppiamente importante. Nessun settore della letteratura di consumo, forse, divide tanto la gente. Di solito si passa, senza zone intermedie, dall'esaltazione dell'appassionato alla denigrazione di chi, su altri argomenti, sarebbe soltanto indifferente. Ciò che per gli uni è divertente, splendido, esaltante, profondo, avvincente (le varie categorie di lettori abituali potranno scegliere il loro aggettivo preferito), per gli altri è noioso, puerile, superficiale, inutilmente iperbolico, inverosimile. Inutile dire che, se le critiche aprioristiche sono sempre ingenerose e spesso contraddittorie o fuori bersaglio, le lodi entusiastiche sono a volte eccessive e fuori misura.

Noi dunque, per fare l'elogio di questi libri così apparentemente bizzarri, e rimanendo nel dubbio sui destinatari di questo catalogo, ci manterremo su una posizione mediana, e ci limiteremo ad affermare e ad argomentare che la fantascienza rappresenta la sintesi più completa e rigorosa delle culture e delle civiltà umane in senso tanto storico quanto descrittivo. Non diremo nulla più di questo, anche se spesso ci si aspettano elogi più superlativi, iperboli più smaglianti, e più smaccati abbellimenti della realtà dagli elogi funebri. Sì, perché dimenticavamo che l'altra cosa che diremo della fantascienza è che essa è praticamente morta o, se ancora vivacchia, è proprio moribonda: il che, però, è uno splendido sintomo della sua ottima salute.

Il fatto che una forma di letteratura popolare rechi in sé tracce vistose della civiltà che la prodotta, dei sistemi politici e sociali dominanti, anche dei dibattiti culturali “alti” che si erano svolti o si svolgevano apparentemente mille miglia sopra di essa, non è una novità (basta pensare per esempio a tutta la letteratura sulla fiaba). Anche se c'è voluto molto tempo per capire e interpretare quelle tracce che, proprio per la loro vistosità, come la lettera rubata di Poe, si sono sottratte a lungo allo sguardo degli studiosi. Perché questa caratteristica sia così spiccata nel caso della fantascienza, è invece qualcosa che ha a che fare con le circostanze storiche della sua nascita, con la sua grande abilità nell'intrattenere rapporti con generi letterari, colti e popolari, che l'hanno preceduta, con la pienezza della sua adesione alle condizioni nuove in cui si andava strutturando la vita umana all'inizio di questo secolo e cioè la presa del potere da parte delle scienze pure e applicate.

Quando la fantascienza nasce come genere “commerciale”, e perciò immediatamente riconoscibile, sulle pagine delle riviste popolari nell'America degli anni Venti, ha già alle spalle i “romanzi scientifici” di Wells e i “viaggi straordinari” di Verne, ma anche le immersioni nei mondi esotici e primitivi di Haggard e di E. R. Burroughs, il creatore di Tarzan, le visioni delle “terre dimenticate dal tempo” di Conan Doyle. Fino dai suoi inizi dichiara dunque i suoi debiti verso la tradizione colta e quella popolare, le miscela, le integra e ripercorre poi, a ritroso, tutto il lato notturno della narrativa ottocentesca. Poe e Hoffmann e le storie dell'orrore e il romanzo gotico del primo romanticismo, fino al “racconto filosofico” e al romanzo utopistico, e per suo tramite al racconto di viaggi e alle più antiche storie d'avventure dell'umanità, i miti.

Passa certo attraverso inconcepibili rozzezze, ingenuità ridicole, sentimentalismi da quattro soldi: impiega decenni a recuperare esperienze già compiute e bruciate dalle avanguardie storiche dell'inizio del secolo, banalizza sistemi filosofici e ardite speculazioni sullo spazio e sul tempo. Ma ha sempre, dalla sua, lo straordinario coraggio di chi come diceva Benjamin, “si pronuncia senza riserve a favore dello stato di cose presente, ma non nutre alcuna illusione su di esso”. È una letteratura onnivora, adolescenziale perché tale è l'umanità e la Storia di cui parla. Comprende che la scienza e le sue applicazioni sono lo scenario essenziale della nuova (epoca...) epoca, ma non vuole fare mai – a dispetto delle intenzioni dei suoi primi pionieri – della divulgazione scientifica: assume la scienza, pura e applicata, per quello che essa realmente è, la più potente forza di modificazione dell'immaginario collettivo. E infatti non crea personaggi, nei suoi libri, ma immagini e paesaggi. È fuorviante leggerla come “letteratura di idee” o come “mito del XX secolo”, perché non conserva, della classica letteratura di idee o del mito, l'atteggiamento partecipativo delle culture antiche, o di quella illuministica che quelle letterature hanno prodotto. È vero che sembra assolvere, come aveva già notato Sergio Solmi, alcune funzioni sociali che erano state proprie volta a volta, del mito classico, delle epopee nazionali, del “racconto filosofico”: ma senza nessuna nostalgia delle “grandi narrazioni”, senza nessuna pretesa di fondare alcunché, neppure a livello di ideologia popolare o di divulgazione di idee. Ecco perché le ideologie politiche dei suoi autori hanno potuto attraversarla e lasciarla tale e quale. La fantascienza ha avuto la fortuna di nascere nell'ultima stagione del mito dell'espansione illimitata della produzione e nel paese che sopra tutti lo ha nutrito e incarnato, e di vivere la parabola discendente, la frammentazione, di quel mito e di quella società, da forma letteraria “bassa” e non da dentro le convulsioni della cultura “alta”.

Ecco perché riesce a restituirci le stesse fotografie delle rovine, ma con l'occhio disinvolto, né allegro né triste, di chi non lavora a preparare nessun futuro.

La fantascienza è un gigantesco repertorio dell'immaginario contemporaneo, una massiccia raccolta di studi sulla psicologia dell'uomo che verrà, un'esplorazione sistematica e vorticosa dei paesaggi che qualcuno, dopo di noi, abiterà. Questa è la ragione della sua morte. Di questo gigantesco repertorio, in cui la metafora è morta e le tecniche narrative sono esse stesse i contenuti di ogni possibile “senso del bello”, si nutre tutta la produzione culturale contemporanea, a cominciare dal cinema che ne è l'erede più conseguente. L'invito che vi rivolgiamo è perciò ad un percorso archeologico nei meandri di una forma letteraria e narrativa che si è dilatata fino a fagocitare e a comprendere l'intero universo culturale: non solo il passato, ma anche il futuro. Perché questi libri, in fondo, non sono altro che le vestigia delle narrazioni di domani.

(Antonio Caronia: Introduzione a “I libri del Possibile” Proposta bibliografica per una mostra mercato itinerante. Provincia di Milano, settembre 1982.)


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