domenica 15 marzo 2020

Antonio Caronia: Saccheggiando Philip K. Dick


Linus febbraio 1985

Antonio Attisani fa notare, in un articolo pubblicato su Alfabeta di questo mese, l’emergere di un nuovo filone all’interno del teatro di ricerca, caratterizzato fra l’altro da una ritrovata attenzione per la parola e per la narrazione. Non trattandosi di una vera e propria “tendenza” teatrale basata su assunti di poetica coscientemente formulati e condivisi, risulterebbe impresa vana e superflua tracciare dei confini precisi. Dando per scontato che le caratteristiche specifiche dei gruppi (Studio 3, Santagata e Morganti, Panna Acida, per fare solo qualche esempio) sono ancora prevalenti rispetto a degli ipotetici tratti unificanti, quello che è interessante per noi, qui e adesso, è registrare un’ulteriore pratica di alcuni di questi gruppi, collegata al riemergere di una funzione “narrativa” del testo teatrale: la pratica del saccheggio e della rielaborazione in contesto teatrale di testi narrativi preesistenti. Un esmpio ce lo offre il gruppo ravennate Albe di Verhaeren, che ha messo in piedi un progetto dal titolo “Cantiere Dick”, sviluppato su tre spettacoli ispirati ai temi dello scrittore di fantascienza californiano (i primi due sono già realizzati, Mondi paralleli e Effetti Rushmore; il terzo, che andrà in scena tra qualche mese, tenterà di rileggere Un uomo è un uomo di Brecht attraverso la lente di Le tre stimmate di Palmer Eldritch, meraviglioso e allucinato romanzo di Dick da tempo esaurito e reso adesso disponibile nel catalogo della Nord, nell’ambito di un progetto di ristampa di tutta l’opera di questo autore). Messo a confronto con altri spettacoli più o meno ispirati alla fantascienza nel corso di una rassegna svoltasi lo scorso dicembre a Bagnocavallo, Ucronie, il lavoro delle Albe ha dimostrato di essere un caso più unico che raro di aderenza e di fedeltà progettuale all’opera di un autore. In effetti le Albe hanno trovato in Dick un denso e sterminato magazzino di materiali per quella che, al momento, pare essere la loro cifra distintiva: una forte ispirazione concettuale (al limite della tematica filosofica) filtrata attraverso un’esasperata emotività. È questo intreccio che rende centrale, nei loro spettacoli, il lavoro dell’attore,, caratteristica questa che li accomuna un po’ ai gruppi già citati. Ma questa centralità dell’attore non significa affatto ritorno del personaggio tradizionale, come del resto la riscoperta di una funzione narrativa non vuol dire che sulla scena si racconti una storia lineare, con un prima e un poi. Per questo il riferimento alle opere letterarie non si traduce in una loro “messa in scena”, ma in una estrazione di temi e di situazioni che si incarnano in frammenti fluttuanti di soggettività, in brandelli di quella carcassa dell’io di cui parlava Artaud, alla ricerca di collegamenti e di comunicazioni sempre più difficili. In questo senso (l’osservazione è ancora di Antonio Attisani) si tratta di un teatro “post-beckettiano”. Mi sembra si possa dire che non a caso un teatro di questo tipo incontra generi di narrativa popolare, come la fantascienza o l’horror. In questa narrativa popolare, infatti, la distruzione del personaggio tradizionale è compiuta da un pezzo, a vantaggio di una narrativa, si potrebbe dire, “di situazione”. Per un riscontro, prendiamo in mano la più recente antologia dell’orrore e del soprannaturale (Creature dell’altro mondo, Sugarco, pp. 152, L. 6.500), sei racconti quasi tutti inediti di Shiel, Derleth, Russel Wakefield, Bierce, Hodgson e Leiber). I due racconti più lunghi e più riusciti, quelli di Wakefield e di Leiber, esibiscono uno schema comune: due uomini dediti ad attività eminentemente “razionali” (rispettivamente un professore di matematica e un giocatore di scacchi) entrano in contatto con fenomeni insoliti o soprannaturali, che finiranno per travolgerli. In entrambi i casi l’avvenimento soprannaturale è in relazione con una occlusione della memoria (il professore non può o non vuole ricordare se l’incidente che ha ucciso il suo predecessore fu causato da lui; il giocatore non ricorda, da sveglio, le regole della partita che gioca ogni notte in sogno) collegata evidentemente con un senso soverchiante di colpa o di responsabilità. Elementi “psicologici”, come si vede, che però rimangono isolati, utilizzati solo per la loro funzione nella macchina narrativa e non per  costruire un “personaggio” (ogni altra caratteristica dei due protagonisti è ininfluente ai fini del racconto). Ma, da un altro versante, che cosa ha mai fatto il nostro Calvino con il suo misterioso Qfwfq, “io narrante” della più divertente saga scientifica e cosmica dei nostri tempi, se non costruire un simulacro di personaggio, un personaggio-passepartout che percorre le età della terra e gli eoni delle galassie, ora pesce, ora dinosauro, ora impalpabile e indeterminato manipolatore di elettroni e protoni? La recente riedizioni di tutti i racconti cosmici di Italo Calvino (Cosmicomiche vecchie e nuove, Garzanti, pp. 320, L. 22.000) permetterà a tutti i suoi vecchi e nuovi lettori, oltreché di godere di un piccolo capolavoro, di pronunciarsi sulla abusata questione dei rapporti tra Calvino e la fantascienza. Il mio modestissimo parere è che le Cosmicomiche siano avvicinabili alla fantascienza, più che dal punto di vista contenuto (una scienza possibile e futura nella fantascienza, la scienza contemporanea e puntualmente documentata, in Calvino) da quello di una procedura narrativa, che consiste nel rendere “letterali” le metafore. Calvino parte da una teoria scientifica (quella della creazione di nuovi atomi d’idrogeno per mantenere stabile la densità media dell’universo in espansione, per esempio) e la rende visibile, descrivendo i giochi di due “bambini” cosmici che usano gli atomi come biglie, li fanno correre, scoprono i luoghi segreti dove si formano i nuovi atomi e tentano di nasconderseli l’un l’altro… Che è poi, in grande, quello che ciascuno di noi (non scienziati e non specialisti) fa, quando deve rappresentarsi in qualche modo i progressi sempre più rarefatti e complessi della scienza contemporanea.