(Sintesi
della discussione nel collettivo milanese di Un’Ambigua Utopia)
(Progetto
per una nuova serie della rivista)
5. Chiariamo subito, in
modo non rituale, che siamo ben lontani dal voler dire una parola significativa
su quello che in gergo si chiama “stato del movimento”. Faremo soltanto delle
osservazioni molto rozze e disorganiche su qualche aspetto della vita
intellettuale che si vive nell’area (o nelle aree) dell’estrema sinistra
oggi.
Chiariamo anche che
l’uso della parola “movimento” in questo come in altri nostri testi porta con
sé irrisolti una serie di problemi di metodo e di definizione. Con questa
parola ci limitiamo ad indicare una serie di comportamenti riscontrabili (isolatamente
o tutti insieme) in vasti settori di coloro che militano e fanno riferimento ad
organizzazioni di estrema sinistra, di coloro che sono stati toccati in passato
o lo sono al presente da movimenti di lotta, o anche di coloro che, pur senza
rientrare in alcuna delle due categorie precedenti, esprimono in altre forme
quella che abbiamo definito “una tensione verso il cambiamento dello stato di
cose presenti”. Che questo insieme di persone, oggi, non sia definibile come
“movimento” nel senso della classica definizione (in uso nei classici del
marxismo) di “movimento di massa” è cosa pacifica per tutti noi. Che diversi
settori di questo “movimento” (in particolare i giovani e le donne) stiano
nella situazione che (sempre in termini classici) si definisce “di riflusso”, è
anch’essa cosa assodata. È poi vero che questa constatazione assume significati
forse diversi per i diversi compagni all’interno del collettivo, ma siamo
arrivati alla conclusione che questo non è un ostacolo alla definizione di un progetto
e di una pratica (sul terreno che ci interessa) comune.
Una delle caratteristiche di questa fase che, per intenderci, chiameremo
di riflusso, è appunto quella di una crescente esigenza di riflessione. In
molti casi è anche un bisogno di pratica, di fare qualcosa, ma comunque non è
mai separato dall’altro. Pensiamo, solo per fare un esempio, alla discussione
che si sta aprendo nell’area di Lotta Continua: a chi ne è fuori, e quindi non
può capirci molto, sembra comunque che si sovrappongano e mescolino diverse
tendenze, diverse esigenze: un’esigenza di militanza vecchio tipo, forse, ma
anche l’esigenza di poter discutere, influire su quello che si fa nel giornale,
a Roma. Ma la proposta che viene fuori è quella di un altro giornale, politico
e di riflessione. A noi sembra comunque che il momento delle scoperte
inebrianti stia finendo, che la gente voglia capire perché le cose vanno così e
non in un altro modo, che voglia in qualche modo “riappropriarsi” anche della
teoria. Certo non dovrà più essere una teoria separata dai bisogni. Su molte
cose non si torna indietro, e nessuno può riproporre riviste “politiche” o
“teoriche” che taglino fuori l’esperienza che in questi anni il movimento ha
fatto. Il momento non è neppure maturo per fogli e riviste che propongano
comunque, anche all’interno delle esperienze fatte, e delle acquisizioni
maturate, dei “punti di vista” complessivi e delle “sintesi” globali. C’è
ancora una fase in cui vanno fatti valere, e percorsi fino in fondo, i bisogni
specifici di cui ognuno è espressione, e per “ognuno” intendiamo, i singoli, i
collettivi, le aree; lavorare a fondo su un tema, un problema, un complesso di
temi e di problemi, questo è il metodo che oggi ancora può dare dei frutti nel
movimento. Le promesse delle sintesi, non ancora le sintesi.
Ma che sia, oggi come lo fu all’inizio degli anni ’60, momento di riviste4, questo è indubbio. E le
riviste che fino a due anni fa, fino allo scorso anno, esprimevano meglio i
bisogni di riflessione del movimento, oggi appaiono logorate e invecchiate.
Alla rinfusa: QUADERNI PIACENTINI continua la sua marcia di avvicinamento alla
sinistra tradizionale, e si “specializza” sempre più sul tema del rapporto con
le istituzioni, che invece appare sempre più estraneo ad un discorso di
trasformazione radicale; OMBRE ROSSE, che aveva fatto della teoria dei bisogni
il suo momento di rilancio, sembra isterilirsi un po’ nella polemica contro
l’”autonomia del politico”, i tentativi egemonici dei nuovi intellettuali
trontiani dentro e fuori il PCI, e abbandonare invece, e comunque
ridimensionare, i terreni che aveva occupato; IL CERCHIO DI GESSO appare
travagliato da una discussione interna che, guarda caso, verte proprio su temi
del rapporto col PCI e delle possibili mediazioni delle posizioni più diffuse
nel 77 a Bologna. Rimane AUT AUT, che continua invece a offrire dei buoni
materiali, ma forse è sempre un po’ illeggibile per chi non sa il tedesco, e
insomma, a parte gli scherzi, sta sempre una spanna più in su di quello che ci
servirebbe. E si
moltiplicano poi, a riprova di quanto dicevamo prima, gli esperimenti, i numeri
unici, i fogli legati a bisogni ed esigenze particolari. Testimonianza comunque
di una vitalità, di un bisogno di esprimersi e di comunicare, anche se non
sempre sanno essere sereni testimoni delle crisi che vivono (potrà dispiacerci,
ma è un dato di fatto) i temi propostici dal movimento in questi ultimi anni.
6. C’è dunque un’area
di compagni che leggono fantascienza e letteratura fantastica, e lo fanno più o
meno coscientemente in connessione con la loro passata o presente esperienza
politica o di lotta. C’è una domanda di riflessione a sinistra, su certi temi e
problemi inerenti ad una teoria e ad una pratica di trasformazione collettiva
della vita, di superamento dello stato di cose presenti, temi e problemi che
abbiamo verificato essere aggredibili anche a partire dal terreno della
fantascienza. In entrambi i casi c’è insufficienza o crisi degli strumenti che
si offrono, nei vari scomparti del mercato editoriale, su questi terreni.
Nell’anno
della sua esistenza, UN’AMBIGUA UTOPIA ha cominciato a porsi, con molte
insufficienze e molte approssimazioni, su questo terreno. Da quanto si è
farraginosamente fin qui detto, le domande che discendono ci sembrano imporsi
con tutta evidenza: crediamo che ci sia uno spazio maggiore di quello che
occupiamo finora, come AMBIGUA UTOPIA? intendiamo occuparlo? con quali
miglioramenti e trasformazioni della rivista e del collettivo? di che cosa
abbiamo bisogno per realizzare un eventuale progetto in questo senso? Alle
prime due domande rispondiamo sì. Tutte le considerazioni che abbiamo svolto
finora ci portano a concludere che possiamo raggiungere strati di lettori più
vasti di quelli che abbiamo raggiunto finora. È un problema di qualità del
prodotto (per dirla in termini industriali: e di questo parleremo al prossimo
punto) e di bontà della distribuzione. Ma lo spazio esiste, e l’interesse
crescente intorno a noi e alle nostre iniziative testimonia del fatto che abbiamo
le possibilità di coprirlo. Non partiamo da zero: abbiamo un piccolo
patrimonio, che è la nostra discussione, le poche cose che abbiamo prodotto, il
rapporto coi lettori. Si tratta di ampliare tutto questo. Si tratta certamente
di un rischio: nulla ci è garantito a priori. Ma non correrlo ci lascerebbe con
la bocca amara di chi ha intravisto delle possibilità, e non le ha sfruttate
per (diciamo così) poco coraggio. Per usare l’elaborata immagine che ha
introdotto nel nostro dibattito il barocco Roberto Del Piano, siamo nella
situazione di chi ha assaggiato un pasticcino quasi per caso, gli è piaciuto,
si sta trovando adesso a mangiare una torta ed esita ad entrare nella
pasticceria per paura che gli venga un’indigestione. Certo, se entra rischia forse
l’indigestione, ma se non entra è sicuro che non assaggerà nessuna di quelle
altre torte che stanno lì dentro: e ce n’è qualcuna che ha un aspetto proprio
invitante…
7. È dunque deciso che
la rivista dovrà sforzarsi di diventare, più di quanto non abbia fatto finora,
un punto di riferimento (uno dei punti di riferimento) per una discussione e,
possibilmente, una pratica, sui temi della fantascienza e del fantastico in
connessione con i bisogni di chi la legge, ma anche con la capacità di
coinvolgere compagni e persone non “appassionati”, magari neppure lettori di
fantascienza in senso stretto. Vogliamo proporci, cioè, come LUOGO COMUNE (nel
senso letterale, e non traslato, dell’espressione), come luogo di intersezione
di una serie di temi e di interessi, fra loro collegati, quelli che abbiamo
cercato di tratteggiare dall’inizio di questo testo. Come realizzarlo, dal punto di vista
della formula e dei contenuti della rivista? Occorrerà uno stravolgimento, un
cambiamento radicale di UN’AMBIGUA UTOPIA come si è presentata finora? A nostro
parere, no. Occorrerà certo introdurre miglioramenti. Ma, grosso modo,
l’equilibrio interno della rivista quale si è presentato, complessivamente, nei
primi quattro numeri, deve essere mantenuto. Per migliorare, bisognerà
procedere in tre direzioni:
a) innanzitutto abbiamo la necessità di produrre (o comunque di far
comparire sulla rivista) delle analisi più approfondite su autori, correnti,
temi della fantascienza e della letteratura fantastica. Sarebbe certo
ingeneroso dire che quanto abbiamo finora prodotto su questo tema è stato tutto
superficiale e pressapochistico, ma sarebbe anche presuntuoso dire che non si
poteva fare di meglio. Quali criteri seguire? Non certo quelli di una critica
letteraria “tradizionale”, né nel senso crociano della distinzione fra “poesia”
e “non poesia” (un po’ ridicola, del resto, applicata alla produzione
letteraria di massa), né in qu3ello, sotto sotto molto zdanoviano, piattamente
contenutistico, ciò ci porterebbe a riprodurre tutte le volte la
contrapposizione ridicola e fuorviante tra autori “reazionari” e autori
“progressisti”. Lo scopo dovrebbe essere, usando tutti gli strumenti che di
volta in volta saremo capaci di usare, la decodifica dei messaggi cifrati che
una certa opera porta con sé (ma, oddio, che può anche non recare affatto), lo
smontaggio dei meccanismi, a volte rozzi, a volte raffinati, che gli autori
usano per raggiungere l’effetto voluto, e di quelli che applicano
inconsapevolmente, e anche, perché no?, la lettura, nella trama del testo, dei
rimandi alle contraddizioni sociali di cui poi, in fondo, ogni autore è (con
tutte le mediazioni del caso) l’espressione. Tutte cose che, in linguaggio
raffinato, potrebbero portare l’etichetta di “analisi testuale”, e “sociologia
della letteratura”, e altre ancora. Diciamo più modestamente che ci proponiamo
di fare, al miglior livello possibile, critica della cultura di massa. Le
possibilità ci sono, dentro e fuori il collettivo.
b) potremo avere la necessità di affrontare, di volta in volta, dei temi
e dei nodi, diciamo pure più schiettamente “politici”, fra quelli che si
pongono all’interno del movimento. Pensiamo, un po’ alla rinfusa, alla droga,
alla corporalità, alla crisi della scienza, al rapporto uomo-donna. Potrà
succedere, questo, in relazione ad un tema monografico che decidiamo
autonomamente di affrontare, ma anche forse in relazione a fatti o discussioni
che ci si impongono dall’esterno con la forza della loro centralità, in un dato
momento, nella discussione dei compagni, e quindi anche dei nostri lettori. E
gli articoli in questione non dovranno avere per forza un taglio
“fantascientifico” o dei riferimenti a libri o film di fantascienza. Neppure
questa è una novità. Nel n.3, sia Arcari che Cesati parlavano dei robot da
punti di vista “esterni” alla fantascienza, ma i loro pezzi si inserivano
perfettamente (al di là del giudizio di merito) nell’equilibrio del
numero.
Dal momento, però, che questo è uno dei punti che hanno suscitato più
discussioni nel collettivo, è bene forse spenderci qualche parola in più per
dissipare equivoci, certamente chiariti ormai al nostro interno, ma che
potrebbero riproporsi con compagni che non hanno vissuto con noi, giorno per
giorno, questa discussione. La proposta di inserire (non obbligatoriamente in
ogni numero, ma quando se ne sente l’esigenza) articoli o interventi più
dichiaratamente “politici” non significa trasformare la rivista in rivista
prevalentemente politica; né il riferimento all’intreccio fra temi della fantascienza
e temi del movimento vuol dire proporre di trasformare la rivista in rivista
“di movimento”. Una rivista di movimento, se le parole hanno un senso, è
l’espressione di un movimento, o di settori di esso; una rivista politica è
l’espressione di un gruppo politico o di un partito, o comunque di un’area
politica con sue tesi e posizioni precise sul dibattito in corso. Non essendo
il collettivo né l’una né l’altra cosa, la rivista non può evidentemente avere
nessuna di quelle caratteristiche. Noi vogliamo invece continuare ad essere una
rivista, per così dire, di proposta e di riflessione su quei temi che abbiamo
già individuato (creatività, fantastico, crisi della scienza, ecc.) e
utilizziamo e intendiamo continuare ad utilizzare la fantascienza per il suo
carattere di intersezione, dentro la cultura di massa, di tutti quei temi. Non
intendiamo, quindi, abbandonare o rendere marginale questo terreno a vantaggio
di altri, anche se intendiamo continuare a farlo alla nostra maniera: e quindi
ci teniamo, per esempio, a distinguerci dalle ordinarie “fanzine” (per questo
abbiamo, per esempio, dichiarato la nostra indisponibilità ad un progetto di
unificazione delle fanzine esistenti). Vorremmo essere, questo sì, una rivista
sulla fantascienza e sul fantastico “nel” movimento. Ma questo, come è chiaro,
è un’altra cosa.
Vale la pena di chiarire a questo punto un’altra questione su cui
possono sorgere dubbi. Il continuo riferimento da parte nostra al movimento del
77, al movimento giovanile, a quello femminista, non implicano uno schieramento
nella discussione sul cosiddetto “referente politico”, e, per usare un termine
più pomposo, sul soggetto storico della rivoluzione italiana, europea e mondiale.
Quel riferimento è una presa d’atto che solo quei movimenti, per il momento, si
sono pronunciati in qualche modo (e non vogliamo neanche commentare il come
si sono pronunciati) sui temi che ci interessano e su cui lavoriamo, e che
presumibilmente persone che sono passate attraverso quelle esperienze, come
quelle dei gruppi organizzati della sinistra rivoluzionaria, costituiscono la
maggioranza dei nostri lettori (o almeno di quelli più interessati). Non significa dunque affatto che il
collettivo abbia una posizione comune sulla previsione (peraltro peregrina,
formulata in questi termini) di chi farà la rivoluzione, se gli operai, i
giovani, le donne, e i bambini; o se sia giusto basare le proprie speranze più
sui precari e in genere i non-garantiti che non sui garantiti. Riteniamo anzi
che non sia affatto produttivo confrontarsi così, in astratto, fra noi o sulla
rivista su quei temi. UN’AMBIGUA UTOPIA ha un ambito di lavoro e di discussione
che è specifico, e delle ipotesi, diciamo di lavoro culturale (non troviamo
termini migliori per il momento) che prescindono, nella fase attuale di
sviluppo della discussione, da temi di quel genere. Chiusa la lunga
parentesi. c) c’è un
terzo terreno sul quale bisogna procedere per qualificare meglio la presenza
della rivista. È un terreno molto controverso, e su cui forse abbiamo impiegato
troppo tempo ad operare delle scelte. Intendiamo parlare della produzione
narrativa (o letteraria, se si vuole, più in generale) di fantascienza. In
effetti lo sviluppo del nostro discorso risulterebbe monco se non vi
affiancassimo un lavoro di promozione e di stimolo di un modo nuovo non solo di
leggere la fantascienza, ma anche di scriverla. Anche su questo terreno
dobbiamo darci una fisionomia ben precisa; senza escludere (trascurando per il
momento la questione dei costi) la pubblicazione (traduzione) di testi
stranieri, è evidente che il nostro interesse prevalente deve andare alla
produzione italiana inedita, e in modo particolare ai testi che nascono, per così
dire, all’interno del movimento, cioè da compagni, giovani, persone che
trasferiscono in racconti, romanzi o testi di fantascienza una parte della loro
esperienza di lotta e di riflessione. Noi siamo convinti che in parte questa
produzione esiste già, e in parte si tratta di stimolarla. Naturalmente neanche
qui abbiamo la pretesa di fare un discorso radicalmente nuovo: non è da oggi si
sa che i compagni producono testi di ogni tipo. La cosa più eclatante è stato
finora il fenomeno poesia, anche perché, ad un certo livello (e lo diciamo
senza disprezzo), la poesia è la forma di espressione più “facile”, quella che
sembra più spontanea (sappiamo che è tutt’altro che così, ad altri livelli). E
poi c’è questo discorso sulla spontaneità, che a lungo andare rischia di
diventare una palla al piede… Certo, se dobbiamo forzare i nostri pensieri e le
nostre emozioni dentro quel minimo di struttura che l’opera narrativa richiede
(tradizionale o “d’avanguardia” che sia), le cose risultano più difficili. Ma
siamo sicuri che il materiale c’è. Occorrerà studiare meglio le forme per
propagandare questa iniziativa (certo bisognerà usare anche altri canali oltre
UN’AMBIGUA UTOPIA; forse un “concorso di narrativa non competitivo” potrebbe
andare; ma ne discuteremo ancora); però, fra l’altro, i primi racconti
cominciano ad arrivare appunto spontaneamente. Abbiamo cominciato sul n°4 con
una scelta forse discutibile. Ma intanto aspettiamo i giudizi dei lettori.
Nota 4: Per una storia delle riviste di quegli anni:
Attilio Mangano, Le riviste degli anni
Settanta, Centro di documentazione di Pistoia, Pistoia, 1998.
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