domenica 21 novembre 2021

Continuare a distruggere la fantascienza


 

Continuare a distruggere la fantascienza

Nel 1977, l’anno che ha visto bruciare tutti i desideri possibili di una generazione che sognava di dare l’assalto al cielo, l’editoriale del primo numero di Un’ambigua utopia titolava “Distruggere la fantascienza”. Questo dialogo, pontiere tra due generazioni a confronto, riprende la matassa di quell’ipotesi di lavoro su un genere stressato da tentazioni estetizzanti e schiacciamento sul tempo presente

Giuliano Spagnul - Nel 1965, a pochi anni dallo sbarco sulla Luna, la televisione italiana (che all’epoca aveva due soli canali le cui trasmissioni finivano, come i mascheramenti di Cenerentola, allo scoccare della mezzanotte) ha mandato in onda un ciclo di sei film1 di fantascienza. Fu un evento epocale in cui la cultura di massa doveva misurarsi, in prima serata, con opere di una certa levatura della settima arte: Eisenstein, Dreyer, Ford, Lang, per fare solo qualche nome. L’ansia per un possibile incipiente ultimatum alla terra e la speranza nelle “magnifiche sorti e progressive” che il connubio scienza e tecnica sembrava offrire, si coniugavano in un immaginario fantascientifico ad uso popolare che conteneva in sé sia la critica che l’adeguamento alla velocità del progresso tecnoscientifico, che andava modificando irreversibilmente gli automatismi soggiacenti ai normali comportamenti quotidiani. Voi giovani siete il prodotto di questa fucina di trasformazione che noi abbiamo deciso, quanto subito. Pensi che la tua, come le altre ancor più giovani generazioni, siate in grado di immaginare (e quindi di non esserne stati del tutto privati) quel senso di speranza verso un futuro come promessa, per quanto talvolta inquietante e minacciosa che muoveva la nostra, come le precedenti generazioni?

Alberto Di Monte - Sono cresciuto in tempo di monopolio capitale. Un tempo orfano di socialismi desiderabili, in cui i concetti di blocco e di muro evocano immagini inedite rispetto a quanto risuona nella testa dei miei familiari. Ho conosciuto l’ondata montante della crisi climatica: ieri terreno di conflitto accademico, oggi matrice di sopravvivenza, processi migratori e accaparramento di risorse. Oltre le facili retoriche thunberghiane sul fallimento della generazione che mi ha preceduto, l’ineluttabilità di un futuro come minaccia, o quantomeno incognita, è chiaro a quante e quanti mi circondano. I tentativi di sottrazione a questo senso di incombenza, anche in campo letterario, svelano il loro carattere ideologico ed estetizzante, suggerendo affreschi rigenerativi e resilienti (ma scevri dal conflitto) ad un pubblico che nutre presentimenti survivalisti.

G.S. - Se la fantascienza ha corroso dall’interno il mito del progresso, come diceva Antonio Caronia “nutrendoci dell’immaginario della catastrofe e del dramma insito nella potenza della tecnologia”, in che modo, con quali discussioni pensi che oggi la tua generazione avverta i tentativi di una riproposizione della fantascienza in termini progressivi e ottimistici? Mi riferisco tanto ai manifesti dell’ottimismo tecnologico del solarpunk (in contrapposizione al nichilismo catastrofico cyberpunk) quanto a posizioni che sottendono tesi accelerazionistiche, piuttosto che a nuove prospettive di espansione spaziale, nelle nuove frontiere cosmiche che i soldi dei miliardari Musk o Bezos vorrebbero rendere possibili.

A.D.M. - Ci sono più filiazioni narrative del punk che punk umani in circolazione: dieselpunk e atompunk nella versione analogica del già citato cyber, steampunk dal sapore vittoriano e dai pomi d’ottone, in tempi più recenti appunto il più rassicurante e olistico solarpunk. La mia impressione è che questa fantascienza soffra della stessa patologia di quella sulle cui ceneri è sorta, dedicandosi ad un esercizio d’ambientazione che, non senza una certa abilità descrittiva, rinuncia alla comprensione del metaverso in cui la sfera del reale e quella digitalmente aumentata, precipitano inesorabilmente. Dal punto di vista del suo consumo, questo approccio compilativo può indicare la direzione di vene aurifere ancora inesplorate nell’ambito del gaming e della serialità televisiva. Ma tutto questo potrebbe non bastarci.

Tornando ai voli suborbitali in streaming-visione promossi dal trio dei patrimoni da capogiro: dietro la patina di fastidio provocata da questo inedito svago per ultra ricchi, non si cela il "solo" accreditamento per servizi spaziali da vendere alle agenzie internazionali e tantomeno l'ospitalità per studi scientifici della durata di dieci minuti di assenza di gravità. Dopo anni sottotono lo spazio "ultima frontiera" guarda nuovamente a Marte (per non dire delle suggestioni sulle origini dell'asteroide ‘Oumuamua!) provando a spostare l'orizzonte della crisi climatica del sistema-mondo. Si può guardare a questa opzione come una nuova forma di negazionismo della finitezza dell'equilibrio chimico e biologico del geoide?

G.S. - Direi assolutamente di sì. È l'anelito dell'infinito, sempre presente nell'uomo, che si ritorce contro se stesso spostando questo andare oltre, che ha più dimensioni e sensi possibili, in una direzione puramente spaziale: alla ricerca di una nuova frontiera, nuovi spazi da sfruttare dopo l'esaurirsi delle risorse del pianeta che ci ha ospitato finora. Quindi più che di negazionismo parlerei di una promessa di futuro espansivo e illimitato che deve abbandonare dietro di se gli inevitabili scarti del proprio procedere.

Ma per rimanere a terra, da terrestri quali siamo e rimarremo, io credo, per un bel pezzo ancora, tu hai scritto un racconto “Alba di ruggine”2 che nella sua trama ucronica potrebbe ascriversi, di fatto, alla fantascienza. Hai anche pubblicato un saggio nella forma di guida sui sentieri che attraversano i nostri confini, in cui i migranti vengono intrappolati entro una tela che una politica inefficace quanto crudele ha intessuto di micidiali fantasie tecnoscientifiche.3 Su quali basi potresti distinguere il carattere fantascientifico da quello realistico di queste tue opere?

A.D.M. - Diffido delle copertine. Intendiamoci l’oggetto libro, con le sue rilegature e sovracoperte piuttosto che nelle più economiche edizioni brossurate, continua a nutrire la nostra fantasia con una cura che tracima l’immaginario suggerito dall’immagine del suo involucro. Eppure il genere rappresenta, in parte, un recinto utile anzitutto a chi cataloga e a chi vende, piuttosto che a chi legge e scrive. Elementi di fantascienza convivono nell’ucronia rugginosa cui facevi riferimento e certamente permeano la compilazione degli elementi, questi sì presenti e assolutamente reali, dei dispositivi di cattura delle persone migranti. La condizione nomade, all’ombra della ferocia del suo carattere di migrazione forzata, è una metafora (da maneggiare con una certa delicatezza) assolutamente contemporanea anche per quanti hanno cittadinanza e documenti per l’espatrio, ma abitano lo stesso fragile presente che porta in nuce la minaccia di apolidia per via di mutamenti repentini, spaesamento o disaffezione.

G.S. - Scriveva Primo Moroni in un articolo dal titolo dickiano “La svastica sul sole” che il capitalismo è una grande invenzione, una “forza rivoluzionaria per eccellenza, si trasforma continuamente. Disintegra luoghi comuni, culture piccole e grandi, utopie negative e positive, speranze e illusioni.” Il nostro slogan distruttivo con cui abbiamo inaugurato UAU e che tu e il tuo gruppo di giovani compagni che avete digitalizzato l’intera serie della rivista avete ripreso con enfasi durante l’iniziativa a Mudima nel 20184, di fatto voleva, nel suo piccolo, riappropriarsi di questa forza rivoluzionaria del cambiare, dell’essere pronti, in quanto rivoluzionari, per dirla ancora con Primo , di essere “persona che cambia, si trasforma in continuazione.” Pensi che la fantascienza possa oggi riproporsi in continuità con ciò che è stata quando è nata un secolo fa o debba ripensarsi come ciò che rivive, dopo la propria morte, in modo affatto diverso?

A.D.M. - Risposte non ne ho, non sono nemmeno un lettore "forte" di fantascienza, o almeno di quella cintata dai quadri archetipici del genere. Non vorrei d’altronde ridurre la discussione alla facile critica delle suggestioni spoliticizzate e young adult della distopia formato Netflix di cui l’universo mondo si nutre. Il rischio di incappare in un nuovo e identico recinto ideologico, quello di una fantascienza utile a interpretare o preconizzare l’alba di domani, sarebbe troppo alto. Eppure la curiosità non manca: chi mi accompagna a visualizzare tecnologie conviviali, cooperazione sociale, scontri tra interessi incompatibili e irriducibili al crepuscolo di una modernità esaurita, produttrice bulimica di disagio psichico e ansie esistenziali? Chiedo io a te, sei sicuro di non voler veder risorgere la fenice? Sei certo di non desiderarlo oggi più profondamente?

G.S. - Touché. Ma in realtà la distruzione che intendevamo con quello slogan riguardava più il contenitore che il contenuto. Certo che c'è bisogno di qualcosa che accompagni e ci aiuti a vedere quel che oggi è sotto gli occhi di tutti ma che tutti, proprio per questa esposizione in piena luce, si fatica a vedere. La fantascienza è diventata la realtà soggiacente al nostro agire quotidiano sia nella prassi cosciente individuale e collettiva che negli automatismi e abitudini soggetti a continue sollecitazioni innovative. Tutto sta ad aver capito che la morte è sempre la condizione necessaria alla vita stessa. Al suo essere creazione del nuovo e non stagnazione del vecchio. Quindi non pensi anche tu che la fantascienza oggi più che rinascere dalle proprie ceneri debba trovare l'occasione di una propria risignificazione non nostalgica ma capace di ridisegnare nuovi giochi nel campo del possibile?

A.D.M. - E' un buon punto di partenza, per quanto una cornice promettente non produca necessariamente una buona letteratura. Anche da questo punto di vista il continuo riferimento all'esperienza dickiana tradisce una certa “ostalgie” in cui la fantascienza politica, o radicale, resta forse intrappolata come nel cubo di Vincenzo Natali.

G.S. - Antonio Caronia parlava di una fantascienza radicale piuttosto che di una fantascienza “matura” (che in quanto tale prelude alla sua imminente decomposizione) per rivendicarne la capacità di far dubitare la realtà di sé stessa. Pensi che le nuove generazioni oggi preferiscano immaginari più rassicuranti, o anche distopici ma certi, rispetto a una messa in mora dell'esistente così, appunto, radicale?

A.D.M. - Abbiamo percorso riga dopo riga un'infinità di universi presenti, futuri, passati e alternativi...alla ricerca. Non alla ricerca di, semplicemente in nome della narrazione e della sua potenza di rottura del piano di realtà. Questa tensione alla fuga convive necessariamente con una seconda tensione alla quiete che non è più o meno preferibile ma resta un punto d'ancoraggio ineludibile, un ritorno ad uno stato di equilibrio, una camera di compensazione che tutela il rientro all'atmosfera terrestre.

G.S. - Se oggi, come io credo, la parola fantascienza non caratterizza più l'appartenenza a un genere ma è un puro ingrediente che può essere dominante oppure un solo colore insieme ad altri di un prodotto ibrido, ciò significa che non esiste più la possibilità di normare il genere e, quindi, di farlo sussistere in quanto tale. Non si può più scrivere oggi l'equivalente delle Tre leggi della robotica di Asimov pretendendo che sia una norma da rispettare o da trasgredire, comunque implicitamente a cui riferirsi. Questo fa della fantascienza più una modalità di lettura che non un prodotto determinato dai suoi elementi. Concordi con me? E se sì non pensi che una lettura fantascientifica del reale voglia dire saperlo mettere in crisi andando a fare domande laddove le risposte vorrebbero imporsi come legittime per essere state poste “in nome” della scienza?

A.D.M. - Posso dire un’eresia? Alle tre leggi di Isaac rispondevano sì tutti i cervelli positronici, ma la rilevanza che diamo alla sua geniale intuizione tradisce un consapevole e imperituro appiattimento sui suoi grandi maestri. Questo è stato forse lecito per la capacità di penetrazione nell’immaginario collettivo e nella stessa letteratura SF. Fuori dalla zona comfort della golden age, prima e dopo la stagione ruggente della narrativa hard, il multiverso fantascientifico è popolato da ginoidi, precog, xenomorfi, cyobrg, ai, mecha e automi che realizzano altre vie di fuga, non necessariamente pulp, dall’umanesimo e dalle sue leggi. La fantascienza come modalità di lettura è certamente un buon grimaldello per attraversare comunità, scienze e mondi lontanissimi.

1 Dal 23 agosto al 27 settembre con cadenza settimanale: Robert Wise, Ultimatum alla Terra; Eugene Lourié, Il risveglio del dinosauro; Val Guest, I vampiri dello spazio; Inoshiro Honda, I Misteriani; Howard Hawks, La cosa da un altro mondo; Paolo Heusch, La morte viene dallo spazio.

2 Un’ambigua utopia n. 10, reperibile su http://archivio-uau.online

3 Sentieri migranti - tracce che calpestano il confine, Ugo Mursia editore, 2021. Recensione in Bottega: https://www.labottegadelbarbieri.org/alberto-di-monte-sentieri-migranti-tracce-che/

4 https://moroniecaronia.noblogs.org/

(pubblicato nella Bottega del Barbieri QUI )

sabato 20 novembre 2021

Cosmoanticapitalismo

 


Cobol Pongide nel suo recentissimo libro Cosmoanticapitalismo (ed. Novalogos, ottobre 2021, 130 pag., 12 Euro) cita l’editoriale del primo numero di Un’Ambigua Utopia in cui si afferma che “qualunque proposta di un mondo, di una vita alternativa, è fantascientifica” (1) e a riprova di ciò aggiunge: “altrove, ho sostenuto che Il manifesto del partito comunista è (anche) un libro di fantascienza.”

In questo libretto pungente di “critica e conflitto nel tempo della conquista dello spazio”, come recita il sottotitolo, l’autore scienziato, musicista e ufociclista fa un uso della letteratura fantascientifica “in termini di artefatti cognitivi esemplificativi, per ciò che concerne le varie forme di pensiero anticapitalista  analizzate.” Usare la fantascienza e non esserne soggiogati è un buon punto di partenza per riuscire a vedere quello che, essendo sotto gli occhi di tutti, rischia di passare inosservato, e cioè che le magnifiche sorti e progressive legate alle altalenanti riuscite dell’impresa spaziale si sono rivelate per quello che sono sempre state: impresa, appunto. Una corsa imprenditoriale che guarda allo spazio e al futuro prossimo, ma che ha come obbiettivo immediato nel “qui ed ora sul nostro pianeta” la creazione “di un modello di vita e di lavoro transumanista e multiplanetario.”

Difficile non leggere in tutta la miscellanea di esperienze stralunate (ma di certo non più strampalate di tutte le altre esperienze che accettiamo nella nostra quotidianità come logiche e normali) descritte nei vari capitoletti del libro, la costante indicazione assertiva del “qui ed ora”. È di ciò che sta succedendo adesso e proprio qui, nel nostro travagliato mondo, in cui anche “le trasformazioni climatiche e ambientali (Antropocene) che annoveriamo come sciagure coincidono perfettamente con i piani dell’intelligenza collettiva capitalistica accelerazionista e transumanista”.

Da qui anche i piani per l’eventuale terraformazione di Marte ricadono nella terraformazione effettiva che ha luogo “qui sulla Terra attraverso mutamenti climatici, virtualizzazione dei rapporti sociali, confinamento della dimensione privata, sviluppo delle IA sociali, svuotamento dei centri urbani, implementazione generalizzata dell’unpleasant design” (2) e così via.

Se “la costruzione di un nuovo mondo somigli davvero all’impresa di insediarsi su un pianeta alieno” è la domanda necessaria da porsi di fronte alla capacità raggiunta di una reale espansione spaziale possibile. Ed è necessaria proprio perché questo “possibile” è compiutamente operante nel nostro arrangiarci a vivere in un mondo sottoposto a un’interazione tra essere umano e ambiente sempre più soggetto a un cambiamento che coinvolge l’uno e l’altro a un ritmo esponenziale sempre più difficile da governare, a livello individuale quanto sociale.

Da qui il continuo interrogarsi dell’autore sui più disparati tentativi che nell’arco dell’ultimo secolo, fino ad oggi, la storia ha bollato come perdenti, falliti o marginali, nel tentativo di cogliere quel qualcosa che riveli possibilità altre da quelle che fino ad oggi ci hanno guidato verso quel muro a cui tutti, anche senza volerlo ammettere apertamente, siamo convinti ormai di andare inevitabilmente a schiantarci.

Per dirla con Primo Moroni, che parlava dal bordo di un “finale d’epoca e di esperienze”, non abbiamo più “un ‘passato’ di cui fare risorsa e non ci sono più quindi i ‘luoghi’ della formazione, dell’esperienza che sono stati distrutti, o resi inservibili uno ad uno. C’è invece la tensione verso un altrove, verso nuovi spazi e luoghi che, questa volta, andranno costruiti, inventati senza far ricorso a quanto di già è stato consumato e distrutto.” E se conclude osservando quanto sia stato “un compito forse troppo grande per una breve stagione di ‘movimento’” (3) ora questo stesso compito dalla difficile quanto improbabile riuscita, deve doversi considerare possibile, perché impossibile è qualunque altra soluzione che accetti lo stato di cose presenti.

Fantascienza è, allora, leggere al contrario e da altra prospettiva, una storia che si vuole unidirezionale. Rimapparla e risignificarla in un nuovo percorso collettivo umano quanto non-umano come in quel romanzo di Philip K. Dick in cui il protagonista si trova a discutere, per un’impresa da farsi collettivamente, con varie specie aliene tra cui anche esseri dei quali si era cibato in qualche ristorante nel proprio pianeta Terra. (4)

Allora con tutti gli alieni possibili, alieni noi stessi, non possiamo  che tentare  questo grande viaggio che dal “cosmoanticapitalismo critico” ci porti al “cosmoanticapitalismo rivoluzionario” rendendoci cittadini dello spazio. In definitiva: terrestri consapevoli di un cosmo che non ci appartiene ma di cui dobbiamo cercare di essere ospiti graditi.

Nota 1: http://archivio-uau.online/archivio.html

Nota 2: “Detto anche design ostile, è una forma d’architettura, generalmente dispiegata in spazi pubblici, studiata per essere inospitale e scongiurare qualsiasi forma di stanzionamento sia umano che animale.”

Nota 3: Intervista a Primo Moroni di Tiziana Villani https://moroniecaronia.noblogs.org/territori-della-trasformazione-e-collasso-dellesperienza/

Nota 4: P. K. Dick, Guaritore galattico.

(Pubblicato nella Bottega del Barbieri https://www.labottegadelbarbieri.org/cosmoanticapitalismo/ )