sabato 28 novembre 2015

Jaromil Rojo: intervento al convegno Logic Lane


Il funerale di Antonio Caronia, di quel ragazzaccio coltissimo, infaticabile
attivista e generosissimo educatore e studente al contempo, che era Antonio
Caronia, e' stata una celebrazione straziante per me, come per molti giovani
presenti. C'era gente di tutte le eta', c'erano svariate generazioni a
rendergli omaggio. Ci ha accolti la musica dell'angosciante ed al contempo
leggera performance "Superman" di Lori Anderson, a sottolineare la tensione,
l'ansieta', l'urgenza di quell'uomo cosi' speciale: il discorso di Antonio
sempre teso ad una critica all'Occidente, alla nostra ragion d'essere, una
critica molto utile, su cui meditare, per chi si sente sempre e comunque
titolare del bene, della ragione e del diritto di sentirsi vincitore sulle
macerie.

Il vuoto lasciato dalla perdita di Antonio Caronia per la cultura hacker
Italiana e' grande. Anche piu' grande se si considera quanto manchera' alle
generazioni future, nativi digitali, Cyborg inconsapevoli, utenti di una
tecnologia che a sua volta li usera' nella loro inconsapevolezza. A noi giovani
cyborg Antonio sapeva trasmettere le gioie e i dolori della contaminazione e
della consapevolezza. Antonio non insegnava, ma coltivava consapevolezze e lo
faceva con il ritmo spasmodico di un adolescente erudito, pazzo d'amore, pazzo
per parlare, pazzo per vivere.


In un operetta Carmelo bene una volta impersono' un'intervista post-mortem allo
scultore Gaudi' che, alla domanda di come definisse il suo ruolo in vita,
rispose che lui si considerava un "giardiniere di pietre". Oggi penso che
Antonio fosse un giardiniere di coscienze come pietre, ma non di pietre
preziose sul mercato. Lui proprio come Gaudi' amava pietre la cui preziosita'
deriva dalle loro irregolarita', da inaspettate curve ed asprezze aggraziate,
piuttosto che dalla forma imposta di prismi perfetti e dal valore a loro dato
sul mercato.



Antonio non voleva morire. Questo mi rattrista oggi. Antonio era avido di vita,
del sapere sempre nuovo che era linfa per i suoi intrecci di senso, intuizioni
trasversali, evoluzioni sul filo d'acciaio ben teso di una tecnologia sempre
piu' levigata ed affilata che lui sapeva ben comprendere, seguire, riavvolgere,
identificando nella centralita' del corpo umano il terreno demilitarizzato tra
i confini aspri di capitale e biopolitica.


Nel mezzo di discorsi sempre attuali che hanno a che fare con la privacy, con
l'approccio od il rifiuto della tecnologia, in definitiva con l'accettazione o
meno della purezza, trovo gli scritti di Antonio incredibilmente,
sorprendentemente, eroticamente attuali, inviti a confrontarsi con l'empieta'
del reale, con l'amore per quella che e' e rimarra' sempre l'eredita dei
diseredati nelle modalita' di ibridazione tra presente e futuro, tra esseri
umani e macchine.

Antonio aveva una conoscenza enciclopedica, sterminata, dei suoi tanti libri
che pareva conoscere uno per uno, pagina per pagina. Era al contempo un
matematico ed un filosofo ed era in grado di citare e combinare pensieri colti
da ambiti estremamente diversi, con rigore intellettuale ineccepibile. Ed era
anche un artista lui stesso, di quelli che plasmano identita', esistenze,
relazioni. La prima volta che lo vidi di persona in questa vita, con quel suo
cappello nero a falda larga, la sua presenza mi scosse con una visione: era lui
quel famigerato Dottor Sax, l'essere ai confini dell'Interzona che saltava fra
i tetti e le ombre nei sogni di Jack Kerouac, che distorceva le visioni di
Cody, che ispirava gli angeli del Dharma. A seguito di tale frequentazione
fuori dall'accademia la mia impressione mi e' stata confermata piu' volte:
quell'uomo cavalcava i serpenti. Piu' tardi, negli ultimi anni, ho avuto la
fortuna sfacciata di poter studiare con lui ed ho compreso quanto non sia solo
una presenza spiazzante la sua, ma anche una sostanza, cioe' un'erudizione
sconfinata, disarmante, unita ad una pulsante passione per la letteratura ed a
una rigorosa pratica da militante politico che non ha mai abbandonato.

Antonio si e' sempre dato per gli altri, non risparmiava nulla. La vita di
Antonio e' un monito per tutti i sessantottini che si dilettano a ricordare i
tempi passati ed oggi son forti di posizioni di privilegio guadagnate nel
progressivo abbandono della militanza: Antonio non ha mai ceduto al privilegio.
Lo abbiamo visto impegnato sin negli ultimi giorni in occupazioni a piazza
affari con il megafono in mano, fino al punto di rischiare il suo contratto con
l'Accademia di Brera, una posizione che ci ricorda artisti come Beuys. Antonio
non ha mai abbandonato l'attivismo militante e nel continuare ad insegnare fino
agli ultimi goccioli di vita, negli ultimi giorni, ha dato prova di una
passione maniacale per i suoi studenti, per le nostre ricerche, percorsi, per
la nostra liberta' di sentire.

Non c'e' nessun'altro che possa sostituire Antonio Caronia in Italia oggi,
questo e' un nodo che si stringe alla gola di tanti, inesorabilmente, anno per
anno. Non ultima, nel ciclo di occupazioni che si perpetuano nelle accademie e
universita' e scuole di tutto il mondo, si riconosce il senso della passione di
Antonio per la descolarizzazione di Ilich, tema a lui caro: e' ora di camminare
da soli, anche se ci cedono le gambe, a costo di metterci sui cingoli o sui
trampoli. A costo di sbagliare, a costo di non essere piu' accettabili
nell'implosione borghese del reale, nella totalizzante presenza di una
modernita' che a cicli ricorrenti ci si rivela ipocrita e vuota di senso.

Oggi raccomando a chi non l'ha fatto, dobbiamo leggere e ascoltare quel che ci
ha lasciato Antonio Caronia, sforzarci di condividere e criticare il suo punto
di vista mai scontato, raramente allineato, sempre teso a superarsi, farci
prendere per mano lungo le sue strade non-strade, battute da pochi e senza
alcuna divisa agli angoli per rassicurarci che sia la via giusta o sbagliata,
pericolosa o sicura, bugie inutili.


"" (Cyborg) (gia' citato da Maurizio Guerri) Qui sta la sua forza (di Donna
Haraway): nella sua estraneita' al mito della trasparenza del linguaggio, nella
sua capacita' di tornare a parlare una lingua radicata nel corpo senza doverla
riferire a una presunta dimensione originaria, nel far agire insomma dentro al
linguaggio il residuo extralinguistico e corporeo che l'informatica del dominio
tenderebbe a cancellare.  ""

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