martedì 12 novembre 2019

Antonio Caronia: Vizi privati di pubbliche figure



Linus aprile 1985

Umberto U., “quarant’anni portati con cura ed esercizio quotidiano”, “occhi anonimi, mani secche e nodose”, è un personaggio ben riconoscibile della nostra contemporaneità. Per certi versi è partecipe di una tendenza che sembra timidamente affiorare, nella narrativa italiana (ma non prevalentemente ad opera degli scrittori più giovani), ad amalgamare fatti, emozioni private, con i fenomeni politici e sociali di questi anni: riprendendo con questo lezioni di anni ben trascorsi che in un recente passato apparivano messe da parte.  È comprensibile che , in questa logica, gli scrittori mettano in scena figure “pubbliche” del nostro tempo, industriali, magistrati, politici, spesso colti nel loro soccombere all’ineluttabile forza di situazioni che essi dovrebbero (si suppone) padroneggiare e che invece li travolgono. Di questo tipo è, per esempio, il giudice D’Alesi di un romanzo breve che viene da una Sicilia sempre lontana eppure mai come oggi così vicina (Forza Etna!). Di questo tipo è Umberto U. Il quale però, per  una serie di sue peculiarità, risveglia in modo particolare il nostro interesse.  In primo luogo per la sua professione, che è quella di funzionario di partito, un partito mai nominato perché non ve n’è bisogno, tanto è evidente che si tratta del Pci. Poi per la sua malattia che, come adombrato nel titolo (Anemia), e come si viene scoprendo man mano da numerosi indizi, è il vampirismo. E infine per il suo creatore, che è Alberto Abruzzese, noto come semiologo, critico, mediologo ma non ancora (almeno a me) come narratore. Ciò che mi incuriosiva, a libro ancora chiuso, era come Abruzzese avrebbe adattato la sua prosa di saggista (una prosa a volte aspra, sempre densa, mai comunque indulgente ai barocchismi e all’ambigua “narratività” di certa critica di stampo “francese”) alla narrazione. A me pare che sia riuscito in modo originale e interessante. Lo ha aiutato l’argomento scelto e la sua sottile conoscenza del meccanismo narrativo della gothic story, che egli classicamente ripropone in Anemia: lo scacco della razionalità di fronte all’”irrazionale” (soprannaturale o meraviglioso che sia). Qui però i diversi ruoli narrativi che per esempio in Dracula sono del Conte e di Jonathan Harker sono fusi in Umberto U., rappresentante di quella particolare forma di “razionalità” che è quella politica, e che l’Apparato del Pci incarna così bene. Umberto U. ha imparato a vivere la condizione indispensabile della politica contemporanea, la netta e cinica separazione tra forma e contenuto, e vive di questa. Quando, alla festa dell’Unità, incontra il “sottoproletariato vociante e opaco”, i “grappoli di ceti medi”, i pochi operai, queste sono le sue reazioni: - Di quella gente non ha rispetto. Per Umberto U. quei forti referenti del suo lavoro politico sono moneta, sono soltanto capitale, risorsa da “scambiare”. Per lui la politica è una professione. Ed è felice di questo -. La malattia che il politico di professione stenta così a lungo a individuare, su cui neppure la fortuita scoperta di un analogo destino occorso al nonno scomparso (è la parte più debole del libro) riesce a far luce, il vampirismo, segna l’irruzione nella vita di ciò che la politica, per fondare se stessa, ha dovuto rimuovere: il senso del pericolo e della morte. Con un linguaggio lento, sinuoso e pigro, preciso ai limiti della paranoia, suadentemente adesivo alla materia del racconto, Abruzzese ha mostrato come si possa scrivere del “gotico” senza fare noiose operazioni archeologiche.


Anemia di Alberto Abruzzese
Forza Etna! Morte civile per fatto di mafia di Enzo Grasso

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