(Linus
dicembre 1980)
È stato un convegno piccolo e non molto frequentato,
quello che si è tenuto a Ferrara il 24, 25 e 26 ottobre di quest’anno. Non
frequentato, soprattutto, dai grossi nomi, quelli “che contano”, a riprova del
fatto che una sensibilità effettiva per la fantascienza nella cultura e nel
costume contemporaneo è, in Italia, ancora tutta da costruire. Eppure questo
convegno ha dimostrato che le premesse per un lavoro critico sulla
fantascienza, in Italia, esistono, che esiste quanto meno una messa a punto
preliminare sugli strumenti per condurla. Il merito, contingente ma non per
questo rimarchevole, è stato questa volta della cooperativa culturale Charlie Chaplin di Ferrara, che ha
avuto il coraggio di organizzare un convegno di studio, una rassegna di film,
una mostra di grafica, che hanno tentato di radunare le tendenze più
interessanti della critica e della pratica fantascientifica italiana di questi
ultimi anni. Non è certo colpa dei compagni della Charlie Chaplin se all’appello hanno risposto quasi esclusivamente
i collettivi fantascientifici che hanno attraversato l’era del post-politico
(Un’Ambigua Utopia di Milano, Un’Ambigua Utopia-Crash di Genova, Pianeta Rosso
di Napoli) e gli esponenti più sensibili della critica universitaria (Carlo
Pagetti, Vita Fortunati), tra i quali ha finito per accentrarsi gran parte
della discussione. Intendiamoci, non che il mondo accademico italiano sia, in
quanto tale, refrattario alla fantascienza: a smentita di eventuali dubbi in
proposito, esce proprio in questa settimana il volume La fantascienza e la critica (Feltrinelli) che raccoglie una serie
di testi dell’omonimo convegno di Palermo del 1978. Convegno importante, che ha
visto riuniti studiosi di molti paesi, ha fatto conoscere meglio in Italia Darko
Suvin e il gruppo di Science Fiction
Studies, probabilmente la migliore rivista mondiale di critica della
fantascienza, convegno a cui Luigi Russo, docente di Estetica all’università di
Palermo, ha dedicato cure e sforzi tenaci. Tuttavia proprio l’introduzione di Luigi Russo a questo volume fa sorgere più
di un dubbio sulla capacità (o la volontà) dei critici universitari di
formazione letteraria ad aprirsi ad una considerazione del “fenomeno”
fantascienza che esuli dal suo studio come genere letterario. E se facciamo
questo discorso in questa sede non è perché siamo presi da smanie arrivistiche,
come alcuni pensano, e vogliamo dialogare ad ogni costo con i professori
universitari (i quali, dal canto loro, e ben a ragione, supponiamo non
dialogano affatto con noi, tagliando così la testa al toro): ma perché
pensiamo, forse ingenuamente, di avere qualcosa da imparare dalla critica
universitaria, se questa si misura con la fantascienza con pochi pregiudizi e
sulla base della conoscenza dei testi; e pensiamo che da essa abbiano qualcosa
da imparare tutti quelli che della fantascienza si interessano, magari da
appassionati, ma con gli occhi aperti anche su qualche altro ordine di
fenomeni. Però pensiamo anche che
qualcosa da imparare ce l’abbiano forse anche gli universitari da altre
esperienze, per quanto limitate e non sempre del tutto consapevoli di sé
stesse: quelle esperienze appunto che hanno tentato di leggere la fantascienza
dentro i fenomeni, i comportamenti sociali e politici di questi ultimi anni.
Riprendiamo fiato, chiediamo perdono del tono un po’ solenne adoperato fin qui
(chi va al mulino si infarina, e a furia di parlare di intellettuali e di
critici accademici…) e parliamo di quello che ci è sembrato il più interessante
fra gli interventi del convegno di Ferrara: quello di Carlo Pagetti, che è fra
i pochi professori universitari ad aver capito, pare, la necessità di uscire
dal discorso puramente letterario per avventurarsi sul terreno della
fantascienza come fenomeno sociale. Riassumendo il suo intervento e
integrandolo, anche, con il dibattito che è seguito, Pagetti ha delineato due
aspetti della fantascienza. Da un lato la sua evoluzione come fenomeno
letterario, di scrittura, che ha portato le tendenze più recenti, sull’esempio
di Vonnegut, Ballard e Dick, ad una riflessione sul linguaggio e le convenzioni
del genere “fantascienza”, ad una dissoluzione del concetto di “realtà” e ad
una dichiarazione aperta del proprio carattere di simulazioni (con tutto quello che questo comporta come possibilità
di riflettere, per il lettore, di non farsi schiacciare da una macchina
narrativa conclusa che presenta se stessa con tutte le caratteristiche di
“riflesso fedele” della realtà: non a caso Pagetti ha utilizzato qui la chiave
di lettura di Suvin, del “novum” cognitivo, che si può trovare nel saggio
iniziale del volume su Palermo). Dall’altro l’irrompere di un polo fantastico
di un “codice” fantastico – contrapposto al codice realistico – in tutti i
settori della cultura di massa, dal fumetto al cinema alla pubblicità. Pagetti
ha mostrato come alcune caratteristiche della fantascienza scritta si
conservino, in questa invasione del fantastico nella cultura di massa: il porsi
esplicitamente come finzione, l’autocitazione ironica e così via; ma ha anche
sottolineato fenomeni diversi, come l’appiattimento del linguaggio, la sua
semplificazione fino alla scomparsa (citando opportunamente alcuni personaggi
dei comics Marvel, come Hulk e Black Arrow), la riproposizione di codici realistici
dentro al fantastico (come le forze del bene in The Lord of the Rings di Bakshi). Ci si è trovati d’accordo che
l’invasione del fantastico non è un fenomeno da esorcizzare, perché è collegato
con una mutazione della percezione di massa della realtà e con un diverso ruolo
delle macchine in rapporto a noi. Si è avanzata l’ipotesi che si possa in
qualche modo, giocare il fantastico contro il fantastico, prendendo sul serio
ciò che ci viene presentato come finzione e giocando con ciò che ci si dice di
prendere sul serio. Ma non sono state, ovviamente, conclusioni, perché di
conclusioni, in questi tempi, ce n’è poche in giro. Spunti per una discussione,
questo sì: forse anche per una pratica, che si allarghi dalle poche esperienze
finora fatte dai collettivi esistenti e coinvolga sempre più gente. Ma forse,
tutto questo, sta già succedendo, e la prossima volta non un convegno si
tratterà di fare, ma una festa.
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