giovedì 6 maggio 2021

WOW? UAU!

 




Postafazione  

Un’ambigua utopia. (1) Un gruppo, “un noi che non rinuncia a una precisa affiliazione politica ma che rifiuta una qualsivoglia progettualità a cui dover aderire collettivamente” e al contempo un luogo in cui l’attenzione sia nei tempi e nei modi, molto vicina “al modo in cui sorgono le idee, al modo in cui sorgono i progetti, al modo in cui si pensa l’innovazione espressiva e contemporaneamente la si mette in opera”. (2) È il rifiuto della militanza per un progetto complessivo ed è il transito verso un orizzonte in cui l’ultima utopia è calata e nessun’altra potrà prenderne il posto. Quel difficile corpo a corpo con l’utopia che ha impegnato sul terreno laico le generazioni degli ultimi due secoli trova in quel sommovimento globale del decennio ’60-’70 del Novecento il suo compiersi definitivo.


Distruggere la fantascienza. Lo slogan dell’editoriale del primo numero della rivista Un’ambigua utopia individuava in quella letteratura sporca, dai bassi natali, (3) quella pratica che giocando direttamente con l’immaginario, esplora i campi del possibile. Ma è un possibile situato dentro un campo storicamente determinato, che non lascia più spazio ad alcun rifugio consolatorio. (4) Ogni utopia si rivela, e non solo in potenza, come distopia. L’immaginario si incarna in quel dispositivo fantascientifico che si innesta e percorre i modi di vita direttamente nella realtà. La fantascienza si fa mondo, materia del quotidiano. Detta modi di pensare, di agire, paure da contenere, nuove sensazioni ed emozioni da provare, precipitando ogni futuro possibile nel concreto dell’oggi. È l’emersione di un nuovo dispositivo che fa dell’immaginario una “forza direttamente produttiva, con il corollario del carattere linguistico, relazionale, affettivo del lavoro.” (5) Un’ambigua utopia, quello strano esperimento politico, vero e proprio scarto culturale sorto dalle ceneri del movimento del ’77, si è trovata ad operare in quel momento decisivo in cui sia la rappresentazione, la fantascienza, che il rappresentato, il futuro, cessavano ogni possibilità di potersi rispecchiare e riconoscere l’un l’altro. Era la fine di un processo lungo forse un secolo. Nell’esaurimento di quella letteratura che, per dirla un po’ con Ballard, era la letteratura che andava costituendo la nostra identità precaria di abitanti dell’era di transizione. Un mondo rivolto al futuro si ripiegava a indagare il presente. Il cosiddetto “eterno” presente in cui siamo, con sempre più estremo disagio, immersi. È questo il motivo per cui questa esperienza passata è riuscita a giungere sino a noi, si potrebbe dire quasi per una sorta di processo di percolazione; è filtrata, non si è imposta per una sua forza particolare. Altre riviste ed esperienze di quegli anni hanno avuto un impatto ben maggiore, eppure Un’ambigua utopia sembra sporgersi verso noi oltre i confini di quella memoria storica che, per quanto necessaria da conservare, andava completando il suo ciclo vitale. Pur occupandosi di fantascienza non ha prodotto alcun effetto nel mondo della fantascienza ufficiale, in quel mondo costituito dai fans e dai vari attori della filiera (scrittori, critici, editori..). La Fantascienza maiuscola si rivelò letteralmente refrattaria alla fiamma di UAU, se per refrattario intendiamo un materiale atto a sopportare 1000 °F, oltre il doppio dei 451 °F cari a Brandbury. È, invece, in quel mondo antagonista, composto da superstiti del vecchio militantismo e da nuovi attivisti, giovani in cerca di una rinnovata utopia (che si vorrebbe però, paradossalmente, concreta) che quell’esperimento ha lasciato un’impronta, una traccia che molte e molti sono tentati di leggere, seguire, ripercorrere. (6)


Tra i molti suoi pellegrinaggi tra le arti visive, l'insegnamento, la televisione, la performatività, lo studio, Antonio ha intrecciato negli ultimi anni della sua permanenza terrena le lotte universitarie che agitavano l'Accademia di Brera e le ondate di protagonismo collettivo che negli atenei germinavano negli anni ‘00. Lo spettro della formazione continua incardinata nel Bologna Process, la fenomenologia della crisi, il detournement delle estetiche più perniciose della città-evento non sono che alcni dei filoni più prolifici del suo contaminarsi con una, ennesima, generazione di giovani adulti. “La lezione di oggi proprio non l’ho preparata per niente, le altre anche meno”. *


Da quel processo di contaminazione dieci anni fa nasce l’Archivio di Un’Ambigua Utopia alla Cascina Autogestita Torchiera SenzAcqua di Milano. Qui il fondo di Antonio, tra alcuni incidenti di percorso, diviene il seme di un progetto di biblioteca controculturale oggi ospitato da due stanze recentemente istoriate dalla crew Mutoid all’insegna di un fantastico pullulante di sottobosco, leggere creature meccaniche e primati post-industriali.

Passa qualche anno e dallo stesso gruppo di giovani che avevano accompagnato la nascita dell'archivio germina il proposito della digitalizzazione dell’intera serie della vecchia rivista. UAU era già stata riedita nel 2009 in copia anastatica, su due volumi, da Mimesis edizioni. La liberazione dell'Archivio UAU, oggi disponibile e completamente consultabile all'indirizzo http://archivio-uau.online  viene, prima che presentata, performata nel giugno 2018 alla Fondazione Mudima. L’occasione la fornisce la mostra “Per primo Moroni e Antonio Caronia”, all'insegna di quell'Ambigua, questa volta, ucronia, che esprime l'impellenza di una chance più prossima di quanto il presente pare offrire. E questo nel tentativo di riappropriarsi di una memoria attiva, di quello spirito che accomuna compagni come Antonio e Primo al di fuori, il più possibile, da quelle logiche celebranti qualsivoglia tipo di agiografia rivoluzionaria. Compito difficile, non esente da rischi di fraintendimenti e controversie, ma non più rinviabile nell’urgenza di un oggi in cui l’abbondanza di icone e di slogan si interfaccia con uno scenario di pratiche stanche e rivolte a un passato esausto.

Il ciclo di appuntamenti che accompagna la mostra tracima in un nuovo un ciclo di incontri dal titolo La fine dell'uomo, ospitato dallo spazio sociale Piano Terra, attivo dal 2012 nel quartiere Isola di Milano. La fine dell’uomo, un uomo irriducibile alla sua condizione biologica di umano così come alla tentazione di una sbrigativa riduzione nelle posture di wasp e cisgender, è qui proposta senza punto interrogativo, si da per scontata. È chiaro che “mutando le ‘disposizioni fondamentali del sapere’, l’uomo (inteso in questo senso ‘epistemico’) potrebbe scomparire come è nato”. (7) Ed è scomparso. Quello di cui si è discusso è andato oltre qualunque problema teorico del postumano, come anche Antonio era già oltre (8). Come vivere, al di là di una asfittica ricerca di una nuova identità costituente che ci possa nuovamente rassicurare, in un mondo danneggiato nel concreto della sua materialità (la crisi innescata dai mutamenti climatici) e in quella sua altrettanto materiale comprensione che lo voleva condizionato in una necessaria separazione tra natura e cultura. Dentro questa alchimia di suggestioni, riletture ed ingredienti segreti fermenta un numero speciale dell'Ambigua Utopia (9) da cui questo stesso vortice era stato attivato.

È questo il lascito di Antonio, di Un’Ambigua Utopia e di tutti quanti l’hanno attraversata. Una fantascienza che rifiuta ogni pacificazione, che non si fa più ingabbiare e “mondeggia” (10) libera, irriverente e rischiosa. Non sta rinascendo la vecchia rivista, un nuovo collettivo non si sta proponendo in occasione di questo numero dieci del progetto nato nel 1977. È la fantascienza che rumina e riattualizza un vecchio strumento che al suo nascere era troppo nuovo per poter essere oggi impropriamente archiviato nel magazzino delle cose passate, quelle che solo per tramite di un effetto ipnotico si potrebbe pensare ancora vive. Un’Ambigua Utopia è un attrezzo multiuso a disposizione di chiunque voglia servirsene, privo di copyright, chiede solo di essere usato in quella dimensione del gioco che fa dell’essere umano non un dio, ma un bambino capace di condividere (ma anche di con-divenire, per restare con la Haraway) con tutti gli altri esseri umani, ma anche non, disposti a imparare a giocare con lui. Un sentito ingranaggio, non un omaggio.


Quello che conta non sono le letterature, le filosofie, ecc.; quello che conta sono le trasformazioni che attraverso queste esperienze noi facciamo su noi stessi (letterarie, artistiche, filosofiche…). La cosa più importante nella vita di un essere umano è l’essere umano, non quello che fa ma quello che lui è, quello che lui diventa.” ** Se la fantascienza, oggi, è diventata tanto importante per noi è perché questa nuova, o vecchia, o futura, pratica ci obbliga a pensare a quello che il nostra fare ci fa diventare. Siamo rivoluzionari, siamo cyborg, siamo compost, qualunque cosa pretendiamo di voler essere è quell’idea fantascientifica degli altri che ci invadono a renderci coscienti di quel che siamo. Nessuna pretesa essenza costituente potrà metterci al sicuro da questo divenire continuo che ci costituisce. Unica prerogativa per una specie tanto mutevole come la nostra per poter stare in un mondo che costantemente forziamo a trasformarsi.

Una piccola avventura in tal senso questo nuovo collettivo ambiguo ha provato a farla.


(1): Per una storia del collettivo e dell’omonima rivista si rimanda alla voce di Wikipedia

(2): Giuliano Spagnul, Distruggere l’utopia, in Mondi altri. Processi di soggettivazione nell’era postumana a partire dal pensiero di Antonio Caronia. Mimesis 2016. Consultabile qui: . http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2016/12/distruggere-lutopia-di-giuliano-spagnul.html

(3): La prima narrativa di genere propriamente fantascientifico viene ospitata tra le pagine delle riviste popolari americane degli anni ’20 (i pulp magazines) insieme al poliziesco e altri generi allora in voga tra le classi subalterne. La prima rivista di scientifiction (termine successivamente modificato in science-fiction) Amazing Stories fu fondata da Hugo Gernsback nel 1926.

(4): Antonio Caronia, Le incarnazioni dell’immaginario, nella prima introduzione alla guida del collettivo Nei labirinti della fantascienza, Feltrinelli 1979.(Ristampa: Mimesis 2012). Consultabile qui: http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2018/02/antonio-caronia-incarnazioni.html

(5): “Corpi e informazioni. Il Posthuman da Wiener a Gibson” in questo volume.

(6): Antonio Caronia tra tutti quelli, tanti, che hanno attraversato quell’antica esperienza, è stato l’unico a non lasciare cadere nel vuoto la richiesta che da più parti gli venivano sollecitate. È così che ha risposto all’appello di una rivista di ufologia radicale, MIR, raccontando la storia della rivista. E poi ancora rispondendo alle domande dei suoi studenti all’Accademia, quindi impegnandosi a ristampare la rivista financo, negli ultimi mesi di vita, rieditando Nei labirinti della fantascienza.


(7): “Transumano, troppo postumano” in questo volume.


(8): Il discorso di Antonio sul postumano non può non riagganciarsi ad un “ritorno” al corpo come problema imprescindibile da cui dover sempre ripartire. L’ultimo impegno di Antonio, un seminario su normalità e follia a Macao, testimonia la necessità di un doveroso ripensamento collettivo su facili entusiasmi per una liberazione che prescinda dalla materia che ci determina per ciò che siamo e che possiamo.


(9): Idealmente il n.10 dopo i 9 numeri usciti dal 1977 al 1982.


(10): Donna Haraway, costante punto di riferimento di Antonio, nel suo ultimo libro Chthulucene (Nero edizioni, 2019) volutamente “complicato e positivamente ambiguo” ma non “oscuro e inaccessibile” (come avverte la traduttrice) inventa la parola “mondeggiare” che si presta appieno a una pratica della fantascienza che si presta a “modellare possibili tempi e possibili mondi – mondi materiali e semiotici che sono al contempo scomparsi, presenti, e di là da venire.”


*Lezioni del corso di Sociologia dei Processi culturali, Accademia di Brera, Scuola di Nuove Tecnologie per l'Arte, A.A. 2008/2009, Prof. Antonio Caronia


**Seminario di Antonio Caronia a Macao su “Arte e follia” 2012



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