venerdì 1 gennaio 2021

Antonio Caronia: Scienza, coscienza e fantascienza

 


Linus giugno 1982

Abbiamo passato anni a tentare di convincere il pubblico che la fantascienza non è scienza degenerata, e che non è dal punto di vista della plausibilità scientifica che va presa in considerazione e giudicata; che è una forma di narrativa, addirittura (abbiamo scritto in parecchi) un “genere letterario”. Ed ecco un libro, di cui è imminente l’uscita nella collana “Le guide dell’Espresso” che si intitola La scienza della fantascienza. Che succede? Ci rimangiamo tutto? Niente affatto. Non dovete prendere l’osservazione precedente come una critica al libro e al suo autore, Renato Giovannoli; non avrei titoli per farne, del resto, essendo appena uscito sul n. 6 di “Biblioteca e territorio”, bollettino di informazione della Provincia di Milano, un mio articolo dal titolo clamorosamente simile (“Le scienze della fantascienza”). (1) Dirò anzi che l’idea delle “Guide dell’Espresso” mi sembra apprezzabile, e il lavoro di Giovannoli complessivamente convincente. Le tre proposizioni che l’autore intende dimostrare sono: 1) che “la fantascienza produce teorie scientifiche autonome” (p. es. la macchina del tempo, l’iperspazio, etc…); 2) che “la logica interna alla fantascienza si sviluppa nel tempo attraverso vere e proprie rivoluzioni scientifiche” (cioè nello stesso modo in cui, secondo alcuni storici e filosofi della scienza, si sviluppa la scienza ufficiale, vedi: La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn, Einaudi); 3) che “la fantascienza ingloba continuamente frammenti di dibattito scientifico “reale”, e anche le scienze “reali” non sembrano del tutto immuni dall’influenza della cultura fantascientifica”. Mi sembra che almeno le prime due proposizioni siano abbastanza ragionevoli, facilmente dimostrabili, e che il materiale fornito da Giovannoli le supporti adeguatamente. L’aspetto più godibile e divertente del libro è in effetti questa carrellata sulle figure “classiche” della fantascienza, l’alieno, il robot, l’androide, il cyborg, i viaggi nel tempo, gli universi paralleli, il superuomo, i mondi a più dimensioni e l’iperspazio, rivisitate e descritte come teorie scientifiche, con tanto di armamentario assiomatico, di dimostrazioni, di paradossi. Sulla terza affermazione, bisogna intendersi. A me pare che la comunità scientifica, in genere, abbia ben poca coscienza di un interscambio, sia pure limitato, tra scienza e fantascienza: ma è indubbio che certe similarità di struttura messe in luce nel libro tra scienze “reali” e scienze fantascientifiche siano suggestive. Io preferisco comunque continuare a pensare che il legame più stretto, anche se a volte sotterraneo, fra scienza e fantascienza sia quello dell’epistemologia, cioè della riflessione sulla scienza, della teoria della scienza: e che sia possibile leggere tutta la fantascienza come un “metafora epistemologica”, come una traduzione delle teorie scientifiche e delle visioni della scienza dominanti nei vari periodi nell’immaginario collettivo (è il problema che Giovannoli affronta nel penultimo capitolo). Se c’è un difetto (almeno dal mio punto di vista) in La scienza della fantascienza è quello della ristrettezza dei punti di riferimento fantascientifici: dalle citazioni (peraltro abbondantissime) Giovannoli appare legato prevalentemente alla fantascienza degli anni d’oro (Asimov, Heinlein, Van Vogt) e a quella degli anni Cinquanta (Sheckley soprattutto). Non discuto il gusto naturalmente: ma mi sembra difficile parlare degli universi paralleli senza citare Farmer, fare un capitolo sui neopositivisti e le storie future senza nominare la Le Guin, parlare del “potere della logica” senza ricordare la “metalogica” di Delany. Ma è una pecca, in fondo, minore, in un libro vivace, unico, per il momento, nel suo genere, e la cui lettura è consigliabile soprattutto a chi sa poco o nulla di scienza e di fantascienza (per gli altri, va da sé, l’indicazione è scontata). Resta il problema: perché un libro del genere è stato scritto oggi, e non dieci anni fa? Hegelianamente risponderemo: perché questo è il suo momento. Perché, da un lato, la fantascienza sta cominciando a vincere la sua battaglia, c’è sempre più gente disposta a leggerla per divertirsi e insieme per trovarvi pronunciamenti sul mondo più interessanti di quelli che si trovano su certi libri di filosofia e di sociologia, per non parlare dei romanzi di Moravia; dall’altro lato la scienza sta cominciando a perdere la sua “aurea”, viene cioè accettata sempre più perché garantisce delle buone e efficaci traduzioni pratiche, nella veste di tecnologia, e sempre meno perché dice una “verità” incontrovertibile sul mondo. Come dice Thom, citato da Giovannoli, ogni buona geometria è una magia, e in questo non c’è nulla di disonorevole per la scienza, ma solo la rimozione di una incrostazione ideologica che ce ne restituisce un’immagine più simpatica, quella di un gioco: le cui regole, peraltro, non sono fisse e immutabili. Che non ci sia più bisogno, insomma, di difendere la fantascienza dall’accusa di essere “cattiva scienza”, che scrivere e pubblicare un libro sulla scienza della fantascienza non sia considerato una cosa fuori dal mondo, è almeno confortante. Mi sta venendo un dubbio: siamo per caso finiti senza accorgercene, in un universo parallelo?

(1) https://www.academia.edu/344383/Scienza_e_fantanzascienza  

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