Linus giugno 1982
Abbiamo passato anni a tentare di convincere il
pubblico che la fantascienza non è scienza degenerata, e che non è dal punto di
vista della plausibilità scientifica che va presa in considerazione e giudicata;
che è una forma di narrativa, addirittura (abbiamo scritto in parecchi) un
“genere letterario”. Ed ecco un libro, di cui è imminente l’uscita nella
collana “Le guide dell’Espresso” che si intitola La scienza della fantascienza. Che succede? Ci rimangiamo tutto?
Niente affatto. Non dovete prendere l’osservazione precedente come una critica
al libro e al suo autore, Renato Giovannoli; non avrei titoli per farne, del
resto, essendo appena uscito sul n. 6 di “Biblioteca e territorio”, bollettino
di informazione della Provincia di Milano, un mio articolo dal titolo
clamorosamente simile (“Le scienze della fantascienza”). (1) Dirò anzi che l’idea
delle “Guide dell’Espresso” mi sembra apprezzabile, e il lavoro di Giovannoli
complessivamente convincente. Le tre proposizioni che l’autore intende
dimostrare sono: 1) che “la fantascienza produce teorie scientifiche autonome”
(p. es. la macchina del tempo, l’iperspazio, etc…); 2) che “la logica interna
alla fantascienza si sviluppa nel tempo attraverso vere e proprie rivoluzioni
scientifiche” (cioè nello stesso modo in cui, secondo alcuni storici e filosofi
della scienza, si sviluppa la scienza ufficiale, vedi: La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn,
Einaudi); 3) che “la fantascienza ingloba continuamente frammenti di dibattito
scientifico “reale”, e anche le scienze “reali” non sembrano del tutto immuni
dall’influenza della cultura fantascientifica”. Mi sembra che almeno le prime
due proposizioni siano abbastanza ragionevoli, facilmente dimostrabili, e che
il materiale fornito da Giovannoli le supporti adeguatamente. L’aspetto più
godibile e divertente del libro è in effetti questa carrellata sulle figure
“classiche” della fantascienza, l’alieno, il robot, l’androide, il cyborg, i
viaggi nel tempo, gli universi paralleli, il superuomo, i mondi a più
dimensioni e l’iperspazio, rivisitate e descritte come teorie scientifiche, con
tanto di armamentario assiomatico, di dimostrazioni, di paradossi. Sulla terza
affermazione, bisogna intendersi. A me pare che la comunità scientifica, in
genere, abbia ben poca coscienza di un interscambio, sia pure limitato, tra
scienza e fantascienza: ma è indubbio che certe similarità di struttura messe
in luce nel libro tra scienze “reali” e scienze fantascientifiche siano suggestive.
Io preferisco comunque continuare a pensare che il legame più stretto, anche se
a volte sotterraneo, fra scienza e fantascienza sia quello dell’epistemologia,
cioè della riflessione sulla scienza, della teoria della scienza: e che sia
possibile leggere tutta la fantascienza come un “metafora epistemologica”, come
una traduzione delle teorie scientifiche e delle visioni della scienza
dominanti nei vari periodi nell’immaginario collettivo (è il problema che
Giovannoli affronta nel penultimo capitolo). Se c’è un difetto (almeno dal mio
punto di vista) in La scienza della
fantascienza è quello della ristrettezza dei punti di riferimento
fantascientifici: dalle citazioni (peraltro abbondantissime) Giovannoli appare
legato prevalentemente alla fantascienza degli anni d’oro (Asimov, Heinlein,
Van Vogt) e a quella degli anni Cinquanta (Sheckley soprattutto). Non discuto
il gusto naturalmente: ma mi sembra difficile parlare degli universi paralleli
senza citare Farmer, fare un capitolo sui neopositivisti e le storie future
senza nominare la Le Guin, parlare del “potere della logica” senza ricordare la
“metalogica” di Delany. Ma è una pecca, in fondo, minore, in un libro vivace,
unico, per il momento, nel suo genere, e la cui lettura è consigliabile
soprattutto a chi sa poco o nulla di scienza e di fantascienza (per gli altri,
va da sé, l’indicazione è scontata). Resta il problema: perché un libro del
genere è stato scritto oggi, e non dieci anni fa? Hegelianamente risponderemo:
perché questo è il suo momento. Perché, da un lato, la fantascienza sta
cominciando a vincere la sua battaglia, c’è sempre più gente disposta a
leggerla per divertirsi e insieme per trovarvi pronunciamenti sul mondo più
interessanti di quelli che si trovano su certi libri di filosofia e di
sociologia, per non parlare dei romanzi di Moravia; dall’altro lato la scienza
sta cominciando a perdere la sua “aurea”, viene cioè accettata sempre più
perché garantisce delle buone e efficaci traduzioni pratiche, nella veste di
tecnologia, e sempre meno perché dice una “verità” incontrovertibile sul mondo.
Come dice Thom, citato da Giovannoli, ogni buona geometria è una magia, e in
questo non c’è nulla di disonorevole per la scienza, ma solo la rimozione di
una incrostazione ideologica che ce ne restituisce un’immagine più simpatica,
quella di un gioco: le cui regole, peraltro, non sono fisse e immutabili. Che
non ci sia più bisogno, insomma, di difendere la fantascienza dall’accusa di
essere “cattiva scienza”, che scrivere e pubblicare un libro sulla scienza
della fantascienza non sia considerato una cosa fuori dal mondo, è almeno
confortante. Mi sta venendo un dubbio: siamo per caso finiti senza
accorgercene, in un universo parallelo?
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