lunedì 8 febbraio 2021

Antonio Caronia: Fianco destr!

 


Linus novembre 1983

Rivendicano un loro “fascismo” (sia pure in senso nostalgico, più nel senso di fascismo-movimento che in quello del fascismo-Stato), ma poi scrivono: “A un potere che ha fatto propria la simbologia e la prassi della morte, non si può che rispondere lottando per la vita, quella vera, quella dei non garantiti”. Inalberano ancora il motto “Il nostro onore si chiama fedeltà” ma parlano di nuovi giovani, di frammentazione contemporanea del linguaggio, di egemonia culturale. Leggono Evola ma anche Baudrillard, e quando parlano di se stessi e del proprio passato ammettono senza imbarazzo di avere anche imparato dai loro compagni di scuola di sinistra. Che i giovani di destra in tutti questi anni, non abbiano vissuto in mezzo a un deserto, ce lo potevamo immaginare. Ma quello che è più interessante è capire come una parte di essi sia evoluta, quali percorsi abbiano fatto, come mai appaiono (lo osservava Giovanni Tassani nell’incontro su “Sinistra e Nuova destra” del dicembre scorso a Firenze) più attrezzati dei loro coetanei di sinistra ad affrontare questa nuova fase di dopo-guerra civile. “Sorpresi”, come essi stessi confessano a volte, dal Sessantotto, i giovani di destra hanno attraversato gli anni Settanta subendo l’egemonia culturale e (dove più, dove meno) l’impatto fisico della sinistra. Hanno imparato a proprie spese gli effetti paralizzanti della polarità, a destra, fra le posizioni di tipo reducistico e nostalgico e quelle della lotta armata. Hanno dovuto, anche loro, fare i conti politici e pratici con le proprie “variabili impazzite”. Poi , poco a poco, ne sono usciti. Una larga parte di loro, attraverso l’esperienza dei tre campi Hobbit del 1977, ’78 e ’80 e della formazione dell’area della Nuova destra, dopo un periodo di permanenza fuori dal Msi in attesa che Rauti trovasse una collocazione interna più stabile, si è dedicata alla riorganizzazione del Fronte della Gioventù. Il Fronte è un’organizzazione che in molte città, rispetto all’immobilismo o alle incertezze della sinistra, appare in crescita di iniziativa e, forse, di successo. I responsabili del FdG di Milano, dove più che altrove si era fatta sentire la stretta della sinistra e dell’”antifascismo militante”, parlano orgogliosi dei nuovi circoli sorti l’ultimo anno in provincia, dei convegni e delle assemblee, del lavoro di selezione e formazione dei quadri, della tiratura del loro giornalino, “Fare fronte”, arrivata nel corso dell’anno a 2000 copie. Si tratta, come si vede, di un’organizzazione ancora modesta rispetto alle dimensioni dei gruppi extraparlamentari di dieci anni fa e della Cl di oggi, ma è la linea di tendenza che indica la crescita. Appaiono sicuri di sé, culturalmente aggiornati, consapevoli delle difficoltà ma fiduciosi nella loro linea. “Quando abbiamo ripreso la militanza nel Msi”, dice Marco Valle, segretario del FdG di Milano, “abbiamo trovato una situazione di frammentazione anche nelle nostre aree giovanili. Più che aggregazioni politiche, c’erano bande e circoli che si dicevano fascisti, ma il cui punto di riferimento era più che altro musicale o sportivo. Del resto questa è la caratteristica dei giovani di questi anni, essenzialmente nichilisti, molto meno permeabili alla politica delle generazioni precedenti, di destra e di sinistra. Dobbiamo evidentemente adattare il nostro linguaggio, comprendere le loro specificità”. “E anche”, aggiunge il vicesegretario Luca Bertazzoli, “individuare i luoghi e i meccanismi della loro socializzazione primaria. A Milano, adesso, stiamo appunto discutendo se la scuola sia uno di questi luoghi, cosa che a noi sembra sempre più dubbia”. A questo livello dell’analisi le considerazioni, a volte anche assai articolate, sono molto simili a quelle della sinistra (il che dimostra comunque, che un certo inserimento sociale ce l’hanno). Ma mentre a sinistra l’analisi del mondo giovanile e la fine dell’ubriacatura ideologica produce il più delle volte cautela, tendenza a rimanere il più possibile aderenti a un terreno di rivendicazioni immediate, qui è diverso. “Ai giovani”, è sempre Valle che parla, “noi vogliamo far riscoprire il gusto della politica, ma non nei termini dei giochi di piccolo cabotaggio: la politica la concepiamo come sogno, come avventura, anche come mito, mito della rivoluzione. Il superamento rivoluzionario del capitalismo è l’esigenza centrale di questi anni, dopo che le vecchie antitesi, fascismo/antifascismo, destra/sinistra si sono del tutto logorate. E oggi il nemico principale fra i giovani è la presenza neo-moderata di Cl”. E l’estrema sinistra? “Non abbiamo preclusioni nei loro confronti”, dice Bertazzoli, “come ne abbiamo invece verso la Fgci, che consideriamo una forza reazionaria. L’antifascismo militante, d’altra parte, è morto e sono ben altri i problemi su cui si deve misurare chi vuole far politica fra i giovani oggi: il post-terrorismo, il problema dei missili e dell’indipendenza nazionale, i nuovi saperi che crescono in una situazione di grave crisi”. Questa tendenza a privilegiare discorsi generali rispetto a obiettivi immediati è naturalmente indizio di una debolezza della giovane destra, perché indica un radicamento ancora scarso in situazioni concrete. Ma potrebbe anche essere, in certe condizioni, un punto di forza, se consentisse loro una certa aggregazione di giovani “nostalgici” di sicurezze, idee-forza, ideologie. Il loro discorso sull’indipendenza nazionale sa molto (né essi lo nascondono) di gollismo: la loro opposizione è ai missili americani, mentre vedrebbero di buon occhio un armamento atomico nazionale. Il loro collocarsi nella “galassia fascista”, pur con un’accentuazione mistica e neo-romantica, è indubbio. E poi, dal punto di vista delle ascendenze storiche, fanno comunque parte di quella destra radicale che (come Giorgio Galli ha spiegato così lucidamente) si rifà a una tendenza ben viva della cultura occidentale, anti-ugualitaria, anti-illuministica e per così dire, “tradizionale”. Ma, vista l’ampiezza del terremoto ideologico e politico a sinistra, chi se la sente più di custodire certi steccati? Il “pensiero della differenza” non è oggi discusso (e spesso, in una qualche variante, assunto) anche a sinistra? La rivalutazione delle culture regionali e delle tradizioni popolari non è uno dei caratteri anche della nuova cultura politica, della sensibilità dei giovani di sinistra? E i giovani di destra, quando proclamano la loro tenace avversione all’”american way of life”, non riprendono in fin dei conti un punto centrale della visione politica della sinistra, nuova e giovane, della fine degli anni Sessanta (al punto di ricalcarne, a volte fin troppo smaccatamente le formulazioni)? Ma neppure su questo c’è da stupirsi, perché sulle “coincidenze” fra un certo Evola e un certo Adorno, negli ultimi tempi, qualche luce è stata fatta. Il punto è semmai vedere quale grado effettivo di comprensione (e di trasformazione) della realtà siano in grado di assicurare queste posizioni – di destra o di sinistra che siano – di derivazione “apocalittica”. Il fatto è che il linguaggio e l’ispirazione dei giovani del Fronte, quando si va un po’ a fondo, assomiglia molto più a quello della Nuova destra che a quello della dirigenza del Msi. E se le soluzioni date ai problemi sono quasi sempre discordi, resta il fatto che i titoli dei problemi siano quasi sempre gli stessi, fra i giovani di sinistra come fra quelli di destra. Il che, in una fase di transizione come quella che viviamo, è forse la cosa più importante, se è vero che l’individuazione dei problemi condiziona già in buona parte le risposte.

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