Secondo e ultimo articolo di Antonio Caronia sul tema dei mutanti nella fantascienza da Un'ambigu utopia anno III n°1 gennaio-febbraio 1979 (il precedente qui )
Nella allucinata e
mitologica “storia futura” di Crdwainer Smith1 la mutazione ha un
posto d’onore. Il mondo dei “Signori della strumentalità” si regge (è vero,
come tanti altri mondi del futuro) sul lavoro e sulla presenza di macchine o
esseri non umani. Anche nell’universo di Cordwainer Smith ci sono i robot, gli
automi: ma si tratta in realtà di cyborg, o qualcosa di molto simile, cervelli
di animali, talvolta di uomini (come in Giù
nella Vecchia Terra2) in qualche modo riprogrammati e connessi
poi meccanicamente a corpi artificiali. Ma l’invenzione più affascinante (e
inquietante) del nostro autore sono gli underpeople
(quasi-umani, mezzepersone, o omuncoli a seconda della traduzione italiana),
discendenti delle vecchie razze di animali terrestri ma dotati, per mezzo di
mutazioni genetiche programmate, di aspetto, intelligenza, emozioni umane, e
provvisti spesso di capacità superiori a quelle dell’uomo. Non ci vuole molto a
riconoscere presente, in questa sottopopolazione soggetta a restrizioni e
discriminazioni di fronte alle quali impallidiscono quelle riservate alla gente
di colore negli U.S.A., il problema della forza lavoro, che recentemente alcuni
hanno voluto vedere come uno dei problemi più interessanti sottostanti alla
letteratura di fantascienza e ad altre forme di letteratura popolare3:
“Nessuna meraviglia che i quasi-umani fossero necessari. Per gli uomini sarebbe
stato un lavoro pazzesco e snervante controllare anche con l’aiuto della più
completa automazione, tutti i vari sub-impianti, e prevenire i guasti
all’interno di ciascuno di essi e le interruzioni tra l’uno e l’altro”4.
Naturalmente, come ogni forza-lavoro che si rispetti in una civiltà
industriale, i quasi-umani sono una fonte di problemi e di angosce per coloro
che li dominano: dice C-mell5 a Roderick MacBan: “(I terrestri) si
stavano estinguendo, proprio perché erano troppo perfetti. Un modo per divenire
migliori sarebbe stato di sterminare noi quasi-umani, ma non potevano
eliminarci tutti. Ci sono troppi lavori complicati che gli automi non hanno la
capacità di scvolgere”6.
“Nessuna meraviglia”, perciò che gli umani
abbiano ribrezzo per qualsiasi contatto fisico con i quasi umani, decretino che
essi non possono venire protetti dalla legge umana, e che insomma “il genere
umano, avendo risolto tutti i problemi fondamentali, non sia del tutto pronto a
permettere che gli animali della Terra, indipendentemente da quanto essi
possano essere cambiati, ottengano la piena uguaglianza con l’uomo”7.
In effetti la posizione di Smith nei confronti dei suoi underpeople, per quanto è dato di ricavarla, nascosta com’è sotto
la crosta stilistica8, non è così semplicistica. Smith sembra
insieme attirato e respinto dall’idea dei quasi-umani, e non è certamente un
caso che proprio C-mell sia protagonista di alcune delle più belle storie
d’amore di questo ciclo.
Sbaglieremmo però a ricavarne l’impressione
che nell’opera di Smith ci sia una considerazione almeno in parte positiva della
figura del mutante; se questo accade per i mutanti di origine animale, ben
diversa è la questione per quanto riguarda i mutanti di origine umana. L’idea
che le tendenze mutagene più diverse spingano l’uomo verso la regressione e la
degenerazione è diffusa, qua e là, in tutti i suoi racconti e romanzi. Del
resto lo stesso movimento della “Riscoperta dell’Uomo” non è forse la reazione
ad una evoluzione regressiva dell’umanità? (“Stiamo uccidendo l’umanità con una
blanda felicità senza speranza, proibendo la diffusione delle notizie,
sopprimendo la religione e trasformando la storia in un segreto di Stato…
L’umanità è priva ormai di vitalità, di forza, di energia. Si sta estinguendo”9,
dice il Signore della Strumentalità Sto Odin).
Ma più espliciti sono altri racconti, in
cui l’idea della mutazione biologica e culturale è connessa alla colpa, alla
punizione, all’espiazione e all’orrore. Uno di essi è il famosissimo Un pianeta chiamato Shayol10,
esplicitamente ispirato all’inferno dantesco.
Il pianeta Shayol (che in inglese è omofono
della parola che indica l’inferno nelle lingue semitiche) è il luogo d’esilio
di tutti coloro che si sono macchiati di colpe innominabili: qui i condannati
vivranno, senza bisogno di cibo o bevande, sostentati, nutriti e completamente
controllati da una forma di vita aliena e (a suo modo) intelligente, il
dromozoo, che in forma di fascio luminoso penetra nel corpo umano provvedendo a
svolgere tutte le funzioni organiche ma anche, fra terribili dolori, a far
crescere nuove parti del corpo, specie di innesti dalla variegata mostruosità.
Ma ancora più significativo è forse Il
crimine e la gloria del comandante Suzdal11; Suzdal viene
inviato proprio su Shayol perché nel corso del suo viaggio ha dovuto far fronte
ad un pericolo inaspettato creando in modo del tutto incontrollato una razza di
felini intelligenti; ma più che questo ci interessa qui la descrizione del
pericolo. Questo è un pianeta, Arachosia, dove una mutazione misteriosa provoca
il cancro in tutti gli esseri viventi femminili, comprese le donne dei coloni.
Per poter sopravvivere una dottoressa,
Astarte Kraus (“una donna brillante, spietata, implacabile nei confronti
dell’universo che aveva tentato di distruggerla”), trasforma se stessa e tutte
le donne ancora in vita in uomini.
La riproduzione viene assicurata creando
uteri artificiali nel corpo degli uomini e dei nuovi uomini-donne. Gli esseri
di Arachosia si trasformano così in una società di “omosessuali barbuti, con
labbra imbellettate, orecchini, acconciature raffinate… degli attaccabrighe che
mescolavano gli amori all’assassinio, che intrecciavano le loro canzoni con
duelli”. A differenza di altri luoghi, l’apparente illogicità e la mancanza di
connessioni fra i vari fatti narrati testimoniano qui più un emergere di
personali ossessioni dell’autore contro le donne e gli omosessuali che non un
mimare l’andamento di vecchi miti12.
Naturalmente con i mutanti, quando derivano
da ceppi non-umani e soprattutto quando svolgono una funzione indispensabile, è
necessario venire a patti. È così che Kord Jestocost, sia nella Ballata di C-mell perduta che in L’uomo che regalò la Terra, si dichiara
favorevole ad una estensione dei diritti dei quasi-umani e, rischiando
personalmente, entra in contatto con la Sacra Rivolta, l’organizzazione
clandestina degli underpeople, le cui
caratteristiche più religiose che politiche sono evidenti dal nome. Non c’è da
dubitare, conoscendo la vera identità dell’autore13, che si tratti
di uno di quei cambiamenti in cui qualcosa cambia perché tutto resti come
prima.
Nota 1: L’esigua –
quanto a mole – opera narrativa di Coedwainer Smith si colloca tutta, senza
eccezioni, entro il disegno di una “storia futura”, ben più lontana nel tempo
da noi di quella immaginata da Heinlein, ma anche dalla Le Guin (si va dai 15
ai 40 mila anni nel futuro, approssimativamente). Dopo un intermezzo, mai
descritto con precisione, la Federazione dei Pianeti su cui nel frattempo si è
espanso l’uomo (a bordo di curiose astronavi lunghe chilometri e spinte dalla
pressione della luce su gigantesche vele) viene governata dai Signori della
Strumentalità, che assicurano felicità e pace ad un’umanità peraltro priva di
stimoli. Alcuni di questi Signori concepiscono allora un’operazione, la
Riscoperta dell’Uomo che, riportando a galla le civiltà scomparse della vecchia
Terra, introduca anche malattie, rischi, ecc., in misura non letale per la
specie ma sufficiente a ricreare gli stimoli mancanti. La Terra è quasi
spopolata, e su di essa sorge il gigantesco astroporto (Terraporto) alto 25
km., costruito dai Daimoni, misteriosa razza a cui Smith dedica alcuni tra i
pochissimi cenni da lui fatti all’esistenza di culture aliene nella galassia.
Nota 2: Contenuto nel
volume Giù nei vecchi mondi, Futuro
12, Fanucci, 1975.
Nota 3: Vedi per
esempio la rivista Calibano, n. 2,
Savelli, 1978, dedicata alle forme letterarie di massa, in particolare il
saggio di Franco Moretti, Dialettica della paura, e quello di Alessandro
Portelli dedicato ad Asimov.
Nota 4: L’uomo che regalò la Terra (The
underpeople), Galassia 154, CELT, 1971, p. 43.
Nota 5: C-mell è una
ragazza-gatto, che lavora come ragazza-fascino, o ragazza-compagnia (una specie
di geishe del mondo della
Strumentalità) a Terraporto. Compare come protagonista nel racconto La ballata di C-mell perduta (Nova 19,
Libra, 1972), nel ciclo di Rod McBan di Nostrilia (L’uomo che comprò la Terra, Galassia 135, 1971 e L’uomo che regalò la Terra, cit.) e in AlphaRalpha Boulevard (Nova 6, 19722).
Farà da tramite fra Lord Jestcost e l’organizzazione segreta degli underpeople di cui parleremo più avanti.
Nota 6: L’uomo che regalò la Terra, cit. p. 104.
Nota 7: La ballata di C-mell perduta, cit. p.
165.
Nota 8: Una parte non
trascurabile del fascino dei racconti di Smith, sta nell’ottica che sceglie per
raccontarli, che è in genere quella di un cantore (a volte di un critico)
collocato in un futuro ancora posteriore a quello in cui si svolgono le storie.
Da qui una serie di apparenti illogicità, incongruenze, salti logici e una
patina (artificiale, riconoscibilissima, ma affascinante nel suo kitsch) di arcaismo.
Nota 9: Giù nella vecchia Terra, cit., p. 155.
Nota 10: Nova 22,
Libra, 1973.
Nota 11: Compreso nel
cit. Giù nei vecchi mondi.
Nota 12: Ce n’è
abbastanza, forse, per rivedere un po’ il luogo comune, diffuso in tutta la
critica specializzata italiana che si è occupata di lui, che vuole Cordwainer
Smith principalmente come ispirato cantore dell’amore.
Nota 13: Cordwainer
Smith, er in realtà Paul Linebarger (1913-1966), appassionato studioso dell’oriente,
esperto di guerra psicologica (e autore di un famoso manuale) e consulente del
governo USA per gli affari estremo-orientali.