lunedì 17 febbraio 2020

Antonio Caronia: Destinazione personaggio


Linus - maggio 1980
Uno dei cambiamenti più significativi che si è prodotto nella fantascienza da dieci/quindici anni a questa parte (qua in Italia ce ne stiamo accorgendo più di recente, perché il ritmo di traduzione delle opere più interessanti è molto lento) è quello che si potrebbe chiamare la rivincita del personaggio. Ursula Le Guin riprende il personaggio tipico del romanzo ottocentesco, il protagonista del “romanzo di sviluppo” o di educazione, ed è forse l’esperimento meno interessante; altri, come Delany, tengono conto di tutto quanto è successo nel romanzo “ufficiale” in questo secolo, e mettono in scena personaggi post-joyciani, lacerati, sballottati, alla ricerca confusa di ragioni di sopravvivenza, dotati solo di brandelli di soggettività. Il primo passo avanti, rispetto ai cow-boy galattici tutto muscoli o agli scienziati pazzi degli anni ’30, e ai cervelloni della finanza e della scienza anni ’40, l’aveva fatto la fantascienza che poi si sarebbe chiamata “sociologica”, quella della rivista Galaxy negli anni ’50. Ma i personaggi di Pohl e Sheckley, uomini della strada, americani medi alle prese con problemi più grandi di loro che quasi mai risolvevano brillantemente, erano poco più che marionette, pretesti narrativi puri e semplici, assolutamente intercambiabili. La “rivoluzione del personaggio”, che andò di pari passo con la rivoluzione del linguaggio, e di gran parte del modo di concepire e di fare la fantascienza, si ebbe solo con gli scrittori che cominciarono ad operare verso la fine degli anni ’60, con quella che allora venne chiamata New Wave e i suoi successivi sviluppi. Eccezioni, però, ce n’erano state anche negli anni ’50. E una in particolare, che si chiama Alfred Bester, appare ad ogni successiva rilettura più interessante. Sarebbe bello che la recente ristampa del suo primo romanzo, L’uomo disintegrato (Classici Fantascienza n. 34, Mondadori, L. 1.500), servisse a far parlare di più di questo autore, che ha iniziato negli anni ’50, come hanno notato Scholes e Rabkin, molto di quello che sta succedendo oggi nella fantascienza (l’osservazione valga anche da autocritica, visto che neppure noi, nella nostra guida Nei labirinti della fantascienza, gli abbiamo dato molto spazio. Ma siamo qua per riparare). Ciò che rende Bester così interessante, e oggi forse più ancora che negli anni ’50, è presto detto: è la sua capacità di stare dentro alle convenzioni della fantascienza, senza restarne prigioniero, che è poi, se non ricordo male, quanto raccomandava Raymond Chandler a proposito del giallo. Sia L’uomo disintegrato (1953) che i successivi Destinazione stelle (1956; Cosmo Oro, Editrice Nord, 1976, L. 3.500) e Connessione Computer (1975; Narrativa d’anticipazione, Editrice Nord, 1977, L. 3.000), unici romanzi scritti da Bester, sfuggono a una lettura in termini di semplici romanzi di avventura. Visti così, apparirebbero come è apparso Destinazione stelle al non troppo acuto Jacques Sadoul: un confuso affastellarsi di scene e “artificiose” sequenze di fatti. Il fatto è che il Ben Reich di L’uomo disintegrato o il Gully Foyle di Destinazione stelle, come d’altronde i loro antagonisti, combinano casini, complicano le cose, non fanno quello che ci si aspetterebbe da (rispettivamente) un assassino che tenta di occultare un delitto e dei poliziotti con poteri di percezione extrasensoriale, e un macchinista ostinato e furibondo che cerca di vendicarsi per essere stato abbandonato nello spazio. Ben Reich e Gully Foyle sono, a dispetto delle apparenze, antenati del Bron Helstrom in Triton di Delany, cioè esponenti della categoria di coloro che “non sanno quello che vogliono”: non “personaggi” come lo sono quelli di Ursula Le Guin, alla ricerca dell’identità e della conciliazione, anche con tutte le loro contraddizioni, ma personaggi mutilati, furibondi, che riempiono la loro vita con uno scopo autimposto e maniacale (che non realizzano che a metà, mentre “incidentalmente” scoprono o fanno qualcosa di molto più grande: ma i finali, in genere sono sempre molto deludenti in Bester). Non è sicuramente un caso che Alfred Bester (il quale tra l’altro, si è occupato di molti altri media, dai fumetti alle sceneggiature televisive) sia stato uno dei primi autori nella fantascienza ad utilizzare idee e spunti della psicanalisi, e che il sogno occupi così gran parte della sua produzione, specialmente nei racconti. Due fra le scene più belle nei romanzi di cui si è parlato finora sono quelle in cui si mette in scena la dissoluzione della logica del mondo “reale”: in L’uomo disintegrato quella in cui Ben Reich vede svanire, a poco a poco, letteralmente, tutto il mondo intorno a sé per ritrovarsi solo in una regione di puro “spazio”; in Destinazione stelle il finale in cui Gully Foyle, nella cattedrale bruciante, viene colpito dalla sinestesi e il suo cervello riceve le sensazioni dei suoi sensi scambiate tra loro. Sono, soprattutto il secondo, non tanto pezzi di “bravura” quanto allusioni ad un uso del linguaggio svincolato dal limite della matafora, che esprima quella mescolanza di reale e immaginario che è caratteristica di tanta parte della fantascienza più recente, da Lafferty a Disch a Delany. Per chi vuole un primo contatto con i temi e il mondo di Bester, anche dal punto di vista dei gustosissimi impasti di lingue, dialetti, citazioni accuratamente nascoste, in forma più immediata e meno elaborata che nei romanzi, sono del resto disponibili in gran parte i suoi racconti, nel volume Stella della sera (Narrativa d’anticipazione, Ed. Nord, 1978, L. 4.500).

Alfred Bester