giovedì 31 ottobre 2019

Lettera a Vittorio Curtoni di Antonio Caronia


(dalla corrispondenza di Un'Ambigua Utopia)

Milano 8 novembre 1979
Caro Vittorio,
tra noi non si sa chi sia Maometto e chi sia la montagna, questioncelle, certo. Però… Noi siamo ansiosissimi di sapere tue notizie, e notizie in genere: di te, di Lucia, dei programmi vostri, di quelli di Mondadori e di Armenia, ecc. (le ultime due cose sono lì per pura malignità; ma d’altra parte, a che cosa servono gli amici se non anche per avere indiscrezioni e anticipazioni sulla loro attività?). è comunque vero che siamo ansiosi di contemplare questo nuovo gioiello dell’editoria di fs: riusciranno a convivere De Turris e Fusco sotto lo stesso tetto di Curtoni? (non illuderti che ti siano risparmiate le frecciate su questo scabroso particolare, che continua a gettare una luce inquietante su Aliens…).
E comunque, in attesa che tu mitighi le nostre pene con una qualsivoglia forma di messaggio (scritto, orale o psi), eccoti le nostre, di novità, anche se non richieste. Novità per certi versi non troppo allegre. I nodi finanziari stanno venendo al pettine, aiutati da due semi-batoste successive nel campo della distribuzione: nonostante che abbiamo cambiato ancora una volta, dal n.1 al n. 2, nessuna delle due volte la diffusione è stata soddisfacente, e soldi poi non se ne vedono, né c’è speranza di vederne. Materiale ne avremmo, ma subissati dai debiti come siamo è molto improbabile che escano ancora numeri di UAU per quest’anno. Stiamo cercando di risolvere le questioni e assicurare l’uscita della rivista l’anno prossimo. Il collettivo invece non va male, ha ripreso a funzionare e idee ce ne sono. Alla rinfusa: dopo la delusione di Brighton quest’estate (siamo arrivati tardi, con niente di preparato, abbiamo litigato come al solito con l’organizzazione sul prezzo e ce ne siamo andati dopo un giorno) abbiamo invece deciso di andare a Stresa in modo più organizzato – tanto per cominciare abbiamo protestato per questa idea bislacca di far votare il romanzo migliore, la fanzine migliore, ecc., dai 100 “super esperti” scelti da Viviani: Bulgarelli, che stava nella rosa, non vota e invita gli altri a non votare. Poi stiamo discutendo con Lotta Continua per lanciare un “concorso non competitivo” di racconti di fs: noi faremo la giuria, e l’unico “premio” sarebbe la pubblicazione sul giornale (e forse anche su UAU, se esce). Per dirne solo due.
La novità più grossa, però, è che il bambino sta per nascere. O meglio, noi ce ne siamo già sgravati, e abbiamo consegnato tutto all’editore a settembre. Ora il libro esce a giorni (dovrebbe andare in libreria a fine mese), e noi siamo ovviamente eccitatissimi, come si conviene a dei parvenues, ultimi arrivati e provinciali, oltreché rissosi e privi del senso della misura, come tu ben ci conosci. Dopo inenarrabili contorcimenti, il titolo sarà NEI LABIRINTI DELLA FANTASCIENZA, visto che la parola “fantascienza” doveva assolutamente esserci, e che Fofi ha un’insuperabile idiosincrasia per la parola “immaginario” (noi proponevamo L’IMMAGINARIO POSSIBILE, il prezzo probabilmente 3.000 per circa 250 pagine, la copertina bellissima (secondo noi) di Michelangelo. Il contenuto… te lo leggerai, perché noi cercheremo di fartene avere una copia il più presto possibile: però puoi immaginare già adesso quali saranno gli autori più bistrattati  (sia americani che italiani). Noi speriamo proprio che serva a far discutere, almeno: i consensi nell’ambiente fs non dovrebbero essere molti, ma speriamo che lo leggano anche fuori da questo microcosmo. È inutile che ti diciamo che ci farebbe molto piacere sapere che cosa ne pensi tu, anche dalle pagine di ALIENS. Stiamo anche cercando di organizzare un po’ di lancio, insieme con Feltrinelli. Una delle cose a cui pensavamo era, per esempio, un dibattito o una tavola rotonda, sullo stato della critica in Italia, o su altri argomenti specifici, o sulla fs in genere in una libreria o – se riusciamo – in qualche TV. Tu saresti disponibile a spostarti un pomeriggio o una sera? L’idea non è ancora definita, perciò non sappiamo chi potrebbe partecipare (per esempio si potrebbe fare una cosa con tutti fs, e allora tu, Guerrini, Lippi, gente così; oppure, forse più interessante, alcuni di noi e lettori di fs non del campo): ma se tu potessi venire, in ogni caso, è ovvio che per noi andrebbe benissimo.
Di altre cose potremmo parlare a voce, se decidessimo di vederci un giorno. Aspettiamo una tua risposta.
Un abbraccio a te e a Lucia.
Antonio Caronia

lunedì 28 ottobre 2019

Antonio Caronia: Fra codice e codice



(Linus dicembre 1980)

È stato un convegno piccolo e non molto frequentato, quello che si è tenuto a Ferrara il 24, 25 e 26 ottobre di quest’anno. Non frequentato, soprattutto, dai grossi nomi, quelli “che contano”, a riprova del fatto che una sensibilità effettiva per la fantascienza nella cultura e nel costume contemporaneo è, in Italia, ancora tutta da costruire. Eppure questo convegno ha dimostrato che le premesse per un lavoro critico sulla fantascienza, in Italia, esistono, che esiste quanto meno una messa a punto preliminare sugli strumenti per condurla. Il merito, contingente ma non per questo rimarchevole, è stato questa volta della cooperativa culturale Charlie Chaplin di Ferrara, che ha avuto il coraggio di organizzare un convegno di studio, una rassegna di film, una mostra di grafica, che hanno tentato di radunare le tendenze più interessanti della critica e della pratica fantascientifica italiana di questi ultimi anni. Non è certo colpa dei compagni della Charlie Chaplin se all’appello hanno risposto quasi esclusivamente i collettivi fantascientifici che hanno attraversato l’era del post-politico (Un’Ambigua Utopia di Milano, Un’Ambigua Utopia-Crash di Genova, Pianeta Rosso di Napoli) e gli esponenti più sensibili della critica universitaria (Carlo Pagetti, Vita Fortunati), tra i quali ha finito per accentrarsi gran parte della discussione. Intendiamoci, non che il mondo accademico italiano sia, in quanto tale, refrattario alla fantascienza: a smentita di eventuali dubbi in proposito, esce proprio in questa settimana il volume La fantascienza e la critica (Feltrinelli) che raccoglie una serie di testi dell’omonimo convegno di Palermo del 1978. Convegno importante, che ha visto riuniti studiosi di molti paesi, ha fatto conoscere meglio in Italia Darko Suvin e il gruppo di Science Fiction Studies, probabilmente la migliore rivista mondiale di critica della fantascienza, convegno a cui Luigi Russo, docente di Estetica all’università di Palermo, ha dedicato cure e sforzi tenaci. Tuttavia proprio l’introduzione  di Luigi Russo a questo volume fa sorgere più di un dubbio sulla capacità (o la volontà) dei critici universitari di formazione letteraria ad aprirsi ad una considerazione del “fenomeno” fantascienza che esuli dal suo studio come genere letterario. E se facciamo questo discorso in questa sede non è perché siamo presi da smanie arrivistiche, come alcuni pensano, e vogliamo dialogare ad ogni costo con i professori universitari (i quali, dal canto loro, e ben a ragione, supponiamo non dialogano affatto con noi, tagliando così la testa al toro): ma perché pensiamo, forse ingenuamente, di avere qualcosa da imparare dalla critica universitaria, se questa si misura con la fantascienza con pochi pregiudizi e sulla base della conoscenza dei testi; e pensiamo che da essa abbiano qualcosa da imparare tutti quelli che della fantascienza si interessano, magari da appassionati, ma con gli occhi aperti anche su qualche altro ordine di fenomeni. Però pensiamo  anche che qualcosa da imparare ce l’abbiano forse anche gli universitari da altre esperienze, per quanto limitate e non sempre del tutto consapevoli di sé stesse: quelle esperienze appunto che hanno tentato di leggere la fantascienza dentro i fenomeni, i comportamenti sociali e politici di questi ultimi anni. Riprendiamo fiato, chiediamo perdono del tono un po’ solenne adoperato fin qui (chi va al mulino si infarina, e a furia di parlare di intellettuali e di critici accademici…) e parliamo di quello che ci è sembrato il più interessante fra gli interventi del convegno di Ferrara: quello di Carlo Pagetti, che è fra i pochi professori universitari ad aver capito, pare, la necessità di uscire dal discorso puramente letterario per avventurarsi sul terreno della fantascienza come fenomeno sociale. Riassumendo il suo intervento e integrandolo, anche, con il dibattito che è seguito, Pagetti ha delineato due aspetti della fantascienza. Da un lato la sua evoluzione come fenomeno letterario, di scrittura, che ha portato le tendenze più recenti, sull’esempio di Vonnegut, Ballard e Dick, ad una riflessione sul linguaggio e le convenzioni del genere “fantascienza”, ad una dissoluzione del concetto di “realtà” e ad una dichiarazione aperta del proprio carattere di simulazioni (con tutto quello che questo comporta come possibilità di riflettere, per il lettore, di non farsi schiacciare da una macchina narrativa conclusa che presenta se stessa con tutte le caratteristiche di “riflesso fedele” della realtà: non a caso Pagetti ha utilizzato qui la chiave di lettura di Suvin, del “novum” cognitivo, che si può trovare nel saggio iniziale del volume su Palermo). Dall’altro l’irrompere di un polo fantastico di un “codice” fantastico – contrapposto al codice realistico – in tutti i settori della cultura di massa, dal fumetto al cinema alla pubblicità. Pagetti ha mostrato come alcune caratteristiche della fantascienza scritta si conservino, in questa invasione del fantastico nella cultura di massa: il porsi esplicitamente come finzione, l’autocitazione ironica e così via; ma ha anche sottolineato fenomeni diversi, come l’appiattimento del linguaggio, la sua semplificazione fino alla scomparsa (citando opportunamente alcuni personaggi dei comics Marvel, come Hulk e Black Arrow), la riproposizione di codici realistici dentro al fantastico (come le forze del bene in The Lord of the Rings di Bakshi). Ci si è trovati d’accordo che l’invasione del fantastico non è un fenomeno da esorcizzare, perché è collegato con una mutazione della percezione di massa della realtà e con un diverso ruolo delle macchine in rapporto a noi. Si è avanzata l’ipotesi che si possa in qualche modo, giocare il fantastico contro il fantastico, prendendo sul serio ciò che ci viene presentato come finzione e giocando con ciò che ci si dice di prendere sul serio. Ma non sono state, ovviamente, conclusioni, perché di conclusioni, in questi tempi, ce n’è poche in giro. Spunti per una discussione, questo sì: forse anche per una pratica, che si allarghi dalle poche esperienze finora fatte dai collettivi esistenti e coinvolga sempre più gente. Ma forse, tutto questo, sta già succedendo, e la prossima volta non un convegno si tratterà di fare, ma una festa.

domenica 13 ottobre 2019

Appunti ritrovati distribuzione libraria Un'Ambigua Utopia 1978


APPUNTI RITROVATI: distribuzione librerie a Milano di Un’Ambigua Utopia n. 2 (aprile 1978) ciclostilato in proprio (via Celoria)
RINASCITA, Via Volturno 1 – 5 copie
SELI, Corso Vittorio Emanuele – 30 copie
SAPERE, P.za Vetra – 10 copie
TADINO, via Tadino – 3 copie
UTOPIA – L.go La Foppa – 30 copie
UNICOPLI – librerie universitarie – 50 copie
VEAS – 5 copie
VALDINA, P.za Gorini – 3 copie
WAGNER, P.za Wagner – 3 copie
ZERGA, MM Lambrate – 5 (esaurite) + 9 copie
EDICOLA SANTO STEFANO, P.za Santo Stefano – 10 copie
FELTRINELLI, via Manzoni – 20 copie
FELTRINELLI, Corso Europa – 20 copie
GARIBALDI, corso Garibaldi – 3 copie
GIAMBELLINO, 3 copie
L’INDICE, corso Genova – 5 copie
BORSA DEL FUMETTO, via Lazzaretto – 10 copie
MARCON, p.za Piola – 10 copie
MILANO LIBRI, via Verdi – 5 copie
MARCO SEDIS - 10 copie
PONTE 3, via Lecco – 5 copie
PROLETARIA, via Spallanzani – 5 copie
PUCCINI, Corso Buenos Aires – 10 copie
L’INCONTRO, corso Garibaldi 44 – 5 copie
EMPORIO DEL LIBRO, corso Buenos Aires – 30 copie
NUVOLE PARLANTI, - 5 copie
AL CASTELLO, 5 copie
ALGANI, p.za Scala – 5 copie
ANGOLO, via Lario – 5 copie
ALICE – 3 copie
COOP SEMPIONE – 5 copie
IULM – 5 copie
CORVETTO – 3 copie
CLESAV – 10 copie
CLUED (Scienza) – 30 copie
CENTOFIORI, p.za Dateo – 5 (esaurite) + 5 copie
CLUP (Politecnico) – 20 copie
LA COMUNE, Via festa del perdono – 30 copie
CALUSCA – 100 (esaurite) + 100 copie
CCP Bovisa – 5 copie
CLAUDIANA, via F. Sforza – 3 copie
CELUC – 3 copie
DERGANO 3 – 3 copie
ECUMENICA – S. Babila MM – 5 copie

mercoledì 25 settembre 2019

The Last Avant-Garde


Una doverosa segnalazione: per le edizioni Mimesis è uscito un volume (purtroppo solo in lingua inglese) sulle riviste alternative degli anni Settanta The Last Avant-Garde. Alternative and Anti-Establishment Reviews (1970-1979) a cura di Andrea Chiurato. Principalmente incentrato sulle riviste francesi e italiane dedica per quest’ultime un intero capitolo alla fantascienza italiana The Inner Space of Utopia. Italian Science Fiction Magazines, scritto dallo stesso curatore.
Aver dedicato un intero capitolo a un settore culturale che ai tempi ebbe un riscontro nel movimento antagonista solo a partire da quell’esperimento, unico nel suo genere, che fu il collettivo di Un’Ambigua Utopia, con la sua omonima rivista, significa aver colto il vero senso della rivolta giovanile di quegli anni. Proprio da quello specifico angolo di visuale si può avere uno sguardo capace di superare quell’angusta visione di una rivoluzione che si voleva vedere a tutti i costi divisa tra politica e culturale. La fantascienza, che come sostenuto da Ballard è stata la vera letteratura del Novecento, è anche la chiave per capire l’intimo significato di quella rivolta. Non una presa del potere per l’ennesima utopia, pronta a convertirsi in distopia, ma una presa di potere sui vari possibili che la realtà ci offre affinché il mondo non sia più governato solo da ciò che ci vogliono far credere unico plausibile.
Ecco che insieme alle altre, più o meno famose e consacrate, riviste anti-establishment, Un’Ambigua Utopia (nata come ciclostilato in una sede politica extraparlamentare per poi diventare una rivista vera e propria) acquista il proprio posto di rivista militante in quella storia che molti vorrebbero finita ma che, per dirla con Primo Moroni, conserva un vero e proprio “giacimento minerario” che pur avendo esaurito il suo filone aurifero principale  potrebbe conservare nelle vene parallele “molti materiali assai preziosi che si sono trascurati e altri, chissà dove, impareggiabilmente ancora più preziosi”. Questo libro ha messo in evidenza che ancora oggi si può cercarli e, forse, anche trarne maggior profitto di allora.
Giuliano Spagnul

martedì 24 settembre 2019

Antonio Caronia: Un'Ambigua Utopia nel fiume della finzione


(Linus settembre 1981)

Quanto bisogna prenderla sul serio, questa fantascienza, e quanto riderci sopra? Fate bene a diffidare di domande di questo tipo, perché la stessa cosa si può domandare (retoricamente) della letteratura in generale. Se ci siamo permessi di porla, è proprio perché crediamo che la fantascienza sia quasi l’unico modo possibile di scrivere oggi, come abbiamo sostenuto in sedi più o meno serie di questa. E anche perché da poche settimane si trova in libreria un testo singolarmente in sintonia con la domanda in questione: Il labirinto magico di Philip J. Farmer (ed. Nord) che altro non è se non la attesissima conclusione del suo famoso ‘ciclo del fiume’, uno dei pochi titoli degni di nota in un anno fantascientifico abbastanza deludente, insieme magari con l’antologia, Il mondo di P. J. Farmer, edito sempre dalla Nord. Farmer è un autore che, se vi azzardate a dargli tanta corda così, e mostrate di prendere sul serio quello che dice, non ve lo togliete più di torno: e rischiate di fare la fine del signor Pergameno, prefatore di entrambi i libri citati, il quale, preso dalla lodevole intenzione di ‘nobilitare’ la fantascienza e di dimostrare il suo ‘valore filosofico’, vaga non molto a suo agio fra mito e antropologia per riproporre la visione, un po’ consunta del Farmer “oppositore della morale convenzionale”, “dotato di spirito vivace e dissacrante”, e via banalizzando. Il fatto è che Farmer ci porta continuamente fuori strada. Prendete per esempio questa frase, da La voce del sonar nell’appendice vermiforme (nella già citata antologia): “La vita non è un racconto di fantascienza, dove tutto viene spiegato all fine in modo essenziale e stucchevole”. Guardatevi dal prenderla alla lettera: Farmer l’ha messa lì per suggerirci una visione del rapporto tra vita e arte, forse, ma se pensate al contesto in cui è inserita, vi accorgete che essa fa parte di un racconto di fantascienza in cui alla fine non viene spiegato nulla, se non un’ipotesi – in apparenza stravagante, probabilmente sostenibile quanto altre, - sul segreto ultimo della vita. La stessa cosa accade per questo famoso ‘ciclo del fiume’, che Il labirinto magico conclude in modo degno e, si potrebbe azzardare, geniale. Il disegno dell’opera è noto ai lettori dei tre precedenti volumi: tutta l’umanità, dai primi pitecantropi giù giù fino al 2000 e rotti d.C., si risveglia dalla morte su un pianeta percorso ad anello da un fiume; i più inquieti tentano di scoprire il segreto di questa resurrezione collettiva, e scoprono che una razza misteriosa, gli Etici, in possesso di una tecnologia raffinatissima, sono in grado di resuscitare qualunque persona catturandone il wathan, che è una sorta di versione elettromagnetica dell’anima, e duplicandone il corpo all’infinito. Ma a quale scopo? Quest’ultimo volume scioglie enigmi e interrogativi posti nei tre volumi precedenti, soprattutto nel terzo densissimo Il grande disegno. Sarebbe facile, anche qui, interpretare il tutto come la rappresentazione di una gigantesca ricerca sul significato ultimo della vita e della morte (e infatti anche in questo caso, Pergameno c’è cascato). Ma questo come sempre, è solo l’involucro: nessuno può pensare che Farmer creda veramente a pasticci sul wathan, la registrazione della personalità, e via dicendo. Questa è la forma, avvincente perché giocata sul ritmo della accelerazione e decelerazione degli eventi avventurosi, di una ‘narrazione’ sul corpo e sul suo statuto: naturalità o artificialità? Ecco il nostro corpo, dice Farmer, può benissimo essere una creazione artificiale e la storia può ripetersi all’infinito, in infiniti modelli e con infinite variazioni. Proprio perché Farmer, come dicono sensatamente Fabozzi e Fucile in un loro articolo su Alfabeta di questi giorni, è il Borges della letteratura popolare, cioè esibisce la stessa libidine classificatoria, lo stesso gioco di specchi tra i vari modelli di finzione, ma con un riferimento ai libri e alle opere del passato molto più ‘da consumatore’ dell’argentino, tutti i temi mitologici e linguistici necessari allo sviluppo di questo discorso sul corpo artificiale vengono qui mediati dalla tecnologia e dalle convenzioni del genere fantascientifico. Per la stessa ragione non vi racconteremo gli scioglimenti degli enigmi di questo gigantesco universo di simulazione che è il  mondo del fiume (la suspense ha i suoi diritti). Vi diremo solo che il vero nume tutelare di questo ciclo, in ombra ma presente nei libri precedenti e sfolgorante nella kermesse finale di quest’ultimo, è un reverendo/logico/fotografo inglese della seconda metà dell’Ottocento: Charles L. Dogson, più noto a noi come Lewis Carroll. E, se ci pensate bene, non poteva essere altrimenti.

sabato 7 settembre 2019

Oreste del Buono - Recensione "Nei labirinti della fantascienza"



Scaffale della fantascienza (Corriere della Sera 13.1.1980)

Libri sulla fantascienza (…) continuano a uscirne, ma quello che segnaliamo oggi è abbastanza unico. Si tratta, infatti, di un saggio, anzi di un insieme di saggi, utile oltre che suggestivo. Lo pubblica Feltrinelli nell’Universale Economica, consta di 250 pagine, costa 3.500 lire. Il titolo suona “Nei labirinti della fantascienza”, e il sottotitolo specifica “guida critica a cura del Collettivo ‘Un’Ambigua Utopia’”. Il programma è chiarito subito. I collettivisti che hanno  curato la guida (Marco Abate, Silvano Barbesti, Patrizia Brambilla, Antonio Caronia, Roberto Del Piano, Piero Fiorili, Giuliano Spagnul), affermano, ad apertura del libro, che la loro non è una piccola enciclopedia della fantascienza completa di nomi e date, elenchi dei premi e bibliografie, dedicata esclusivamente ai lettori specializzati che si credono già in grado di destreggiarsi per conto proprio nella selva di autori, tendenze, collane, novità e ristampe. “Noi, invece, nel preparare questa guida, abbiamo avuto l’occhio a un pubblico diverso: non gli appassionati in senso stretto, i cosiddetti “fan”, già sin troppo enciclopedici, spesso per conto loro, e altrettanto spesso impermeabili a ogni discorso che non si attenga rigorosamente all’oggetto delle loro brame, ma i lettori occasionali, gli spettatori una tantum di “Guerre stellari” o “Incontri ravvicinati del terzo tipo” o anche lettori e spettatori più sistematici non comunque distratti e frettolosi. Coloro fra questi che vogliono fermarsi un attimo, capire meglio le ragioni per cui qualche libro o film di fantascienza abbia suscitato in loro una riflessione o comunicato un’emozione meno epidermica del solito…”. Il programma è avvincentemente rispettato. “Nei labirinti della fantascienza” contiene le meditazioni generali, ma non sempre monotonamente convergenti dei vari componenti del collettivo, ma anche (ed è il punto di forza della guida) 140 proposte di lettura di opere e autori rilevanti. Proposte faziose per scelta e svolgimento, ma, per chiarezza e capacità di coinvolgimento, irresistibili.