La “sfida allo sguardo” del corpo
artificiale
Eleonora Fiorani
E’ alle dinamiche
di costituzione del soggetto che Caronia ha rivolto la sua attenzione nel suo
intervento in Girare su se stessi. Emancipazione, libertà, liberazione, in E
manu capere. Come Foucault Caronia abbandona l’approccio tradizionale al
problema del potere basato su modelli politico-istituzionali per volgersi al modo in cui il potere penetra
nel corpo vivo dei soggetti e delle loro forme di vita. Disciplinando i corpi,
includendo la nuda vita nei meccanismi e nei calcoli del potere statuale, la
politica si trasforma in biopolitica, ben più capillare e insidiosa del
precedente potere che “uccide e lascia vivere”.
E’ questo soggetto desoggettivizato a me pare
il tema sempre sotteso delle teorizzazioni di Caronia del cyborg che vorrei a
sua volta definire un corpo desoggettivizzato perché è proprio la figura del
cyborg che mostra come “sono le strutture, il sistema stesso del
linguaggio - e non il soggetto - che parlano” per cui si rende inevitabile
l’incontro con il corpo, che è esteriorità visibile ed esemplare su cui non
solo il potere si istoria, con le sue pratiche e le sue discipline, ma è un
corpo inteso come la superficie di iscrizione delle tecnologie e un luogo
attraversato dal desiderio.
Nell’aggiornamento
che Caronia fa del testo del 1985 nel 2001 in relazione con il postmoderno sono
infatti protagoniste le tecnologie del linguaggio. Il linguaggio non
media solo il nostro rapporto con il mondo e con gli altri, è costitutivo del
nostro stesso Io, della coscienza e della corporeità.
Se per
Merleau-Ponty è il corpo che parla, per Caronia sono i saperi, le tecnologie e
le configurazioni linguistiche che lo parlano. Rifacendosi a Dick, Cronenberg,
Ballard ma anche a Lacan e allo strutturalismo, a Nietzsche e a Foucault,
Caronia con la figura del cyborg presenta il corpo come un luogo in cui si iscrive l’immaginazione che
è un dispositivo non solo riproduttivo, ma produttivo, che ricombina, integra,
progetta, configura, e interattivo che incide sull’ambiente. L’era immateriale
configurata dalle nuove tecnologie infatti non significa affatto la fine del
corpo, ma un suo mutamento. L’immaginario penetra e si iscrive nel nostro
sistema nervoso come diceva Ballard.
E’ su questo
terreno che si iscrive il corpo mutante e disseminato del cyborg e il fatto che mai come oggi si è parlato
tanto della corporeità. E’ il corpo visto come macchina al lavoro che tende al
simbolico mondo delle protesi, e agli strumenti che dilatano le capacità motorie
e manuali e quelle intellettuali. Scompaiono i confini tra corpo e tecnologia,
tra mente e macchina. Il nostro corpo è sempre più un corpo tecnologico per cui
si ridefinisce la percezione umana, che non si può scindere in compartimenti
stagni, e ciò investe il corpo nella sua totalità.
E se da sempre, addomestichiamo e “indossiamo” il nostro corpo,
costruendo su di esso un altro corpo, facendone la conferma ai processi sociali
e rendendolo insieme individuale, più proprio a chi lo “indossa”. E se fin dalle
origini, per quanto possiamo parzialmente ricostruire, il corpo è stato
ampliato da protesi e apparati “artificiali” che ne modificano le possibilità
di interazione e di presa e di costruzione di se stesso e del mondo, il corpo
protesico e macchinino messo in atto dalle nuove tecnologie, muta la stessa
“materia prima” biologica dell’uomo (Caronia, 1996). Le nuove tecnologie
contribuiscono a disseminare a dismisura, con l’interposizione di interfacce
tra l’io e i suoi organi periferici, il corpo invisibile e più esteso dei
sensi. La realtà virtuale lo dissemina nelle reti e negli spazi virtuali. Per
questo non è facile dire dove termini il corpo, che già i nostri sensi
estendono oltre la pelle, che ha occhi come dice la Ackerman (1991), è la linea
di confine, o “la prima interfaccia” del nostro corpo, il luogo degli scambi e
del contatto.
La realtà virtuale si può vedere, toccare, sentire, ci conduce in un
ambiente tattile, aggiungendo la mano alla mente. Il casco e la manopola
agiscono come sorta di pelle artificiale e riescono anche a costituire un
efficace meccanismo per interagire nello spazio virtuale. Possiamo realizzare i
nostri sogni, viverli da dentro, toccarli. E già si è fatto corpo l’antico
sogno del doppio. Il mondo stesso è ora un’illusione del mondo creato dalle
nostre protesi.
Ciò rimette
in causa il luogo di formazione delle immagini mentali e determina una crisi
senza precedenti della rappresentazione. E insieme si dà uno ampliamento ed
estensione dei nostri sensi, come se avessimo il “cervello fuori dal cranio”, e
i “nervi fuori della pelle”, come dice A. Caronia (1993), con effetti tali da
richiedere un oltrepassamento del linguaggio o un nuovo ambiente perché “quando
si è in grado di creare ogni tipo di realtà non c’è più bisogno di descrivere
il mondo” (Lanier). “In Ballard – scrive Caronia in Archeologie del virtuale (2001: 99) “l’interno e l’esterno, il
corpo e il mondo diventano l’uno in funzione dell’altro, anzi si compenetrano,
diventano un luogo neutro e indistinto in cui si va registrando, con una
scrittura crudele e impietosa la fine della modernità”.
L’emersione
della realtà virtuale, aprendo nuove possibilità di ricerca e di progettazione,
ci ha reso consapevoli che la visione del nostro corpo non è data una volta per
sempre: il corpo è storia, e la sua storia è quella della sua progressiva
artificializzazione, fino all’ibridazione. E l’ibrido definisce una nuova
morfologia, qualcosa che non ha ancora identità e non ripete forme o realtà già
esistenti. Rompe gli schemi e non rientra nelle tassonomie.
L’uomo non è
più confinato nella sua pelle. <<La percezione cibernetica implica
tecnologie transpersonali, quelle della comunicazione, della condivisione,
dello scambio, della collaborazione, la tecnologia che ci rende capaci di trasformare
il nostro essere, di trasferire i nostri pensieri e di trascendere i limiti del
nostro corpo.>>, scrive De Kerckhove (2000/2001).
Il corpo
virtuale implica una nozione di identità che si costruisce e si modifica in
connessione con altri nei processi comunicativi virtuali. Il “corpo flusso” del
cyborg è un corpo senza confini, senza identità fisse, che si confonde con
l’esterno, un corpo che si modifica all’infinito. Il trattamento digitale delle
immagini (morphing) ci avvia a corpi fluidi e malleabili. Negli immaginari
indotti dalle nuove tecnologie si delineano i nuovi territori, in cui le
ibridazioni degli uomini con le macchine prospettano nuovi vissuti estetici e
nuove modalità di conoscenza e di fruizione. L’accettazione di una logica di metamorfosi
e di flusso implica non solo che sia l’uomo a modificare il suo corpo, ma che
il corpo stesso possa scegliere la metamorfosi continua.
Attraverso
l’innovazione tecnologica (ingegneria genetica, biotecnologie, robotica), il
corpo funge da soggetto tecnico e diviene oggetto da riprogettare: è un
corpo-oggetto-macchina, sempre più determinato dalle protesi motorie,
sensorio-percettive e intellettive. O, come lo pensa Sterlac, è un “corpo
cavo”, aperto ai nuovi organi artificiali.
Il corpo virtuale
non ha né carne né sangue ma è il tramite tra i corpi di carne e di sangue. Inoltre
il corpo virtuale riannoda i fili del perduto “corpo dionisiaco”, evocato dalle
Avanguardie di primo Novecento e il contemporaneo “corpo glorioso”, che
proietta su di sé segni d’arte: un corpo aperto che si offre al mondo sia con
la liberazione totale del corpo sia con il suo ingresso in un involucro e
perfino con la sua metafisica distruzione a vantaggio del macchinino e della
marionetta, che non sono il meccanico o il macchinale, ma caso mai macchine
desideranti e macchine celibi. Per significare un corpo nuovo.
Il corpo non
è solo il “luogo” privilegiato della strategia repressiva, che normalizza il
desiderio e lo riconduce alle istanze della Legge. E’ anche il luogo in cui recuperare
il corpo e far valere i piaceri e i saperi nella loro molteplicità, in un
movimento aperto di differenziazioni e di metamorfosi. Racchiude anche,
istoriata nella sua carne, la potenza della vita e del desiderio. E’ questo che
ha richiamato l’attenzione di Caronia per il cyber manifesto di Donna Haraway.
E il
riferimento a Deleuze che parte dal corpo e permanendo in esso pone il rapporto
con la molteplicità e la diversità, indagando già a partire dalla Logica del
senso (1969), attraverso Nietzsche, il rapporto tra singolarità preindividuali
e individuazione corporea. Perché per Deleuze corpo è superficie scivolosa,
opaca, tesa, flusso amorfo e indifferenziato. E dato che non c’è fondamento, è
senza fondo. E quindi pensa il corpo al singolare, senza organi, come dice
Artaud, spogliato di ogni dimensione organica, che diviene il “luogo di
trasmigrazione”, di registrazione di effetti, di visibilità, udibilità,
dicibilità, individuazione, il luogo da cui affiorano i continenti e tutti i
nomi., Percetti e affetti sono autonomi e autosufficienti, sono il divenire non
umano dell’uomo.
Così ora che siamo di fronte a un mutamento epistemico radicale che
rivaluta la conoscenza sensoriale per una nuova qualità della vita, il corpo si
fa racconto attraverso la propria esperienza fisica e si apre un diverso
approccio ai modi e ai campi del sensibile, per andare a interrogare le reti, i
grappoli, i fasci sensoriali, la polisensorialità della significazione (J.
Fontanille).
La mutazione e l’ampliamento delle sensorialità e del mondo
esperienziale è stato il grande tema dell’immaginario cyborg e del posthuman. E
porta oggi alla ricerca di sensazioni nuove, apre a nuove frontiere della
sensibilità e a nuovi linguaggi.
Il corpo è
infatti anche corpo sovversivo, dotato di una propria intenzionalità, luogo del
desiderio, dove si fa visibile di quale società il corpo ha bisogno, e quale
desidera, sogna: e lo fa anche
producendo sintomi ribelli e “caotici” che aprono continue brecce nei conflitti
tra mente e corpo, natura e cultura, corpo individuale e sociale.
Merito di
Caronia con la sua analisi del cyborg è anche l’aver assunto lo scacco
analitico che si manifesta nell’eccedenza di discorsi e saperi che investono il
corpo. Per questo il libri di Caronia terminano sempre con delle domande che
aprono a nuovi percorsi, che sono quelli del mutamento di paradigma aperto
dalle nuove tecnologie che connettono non solo persone, ma cose, prodotti e
tutti gli oggetti generati dai dati, e dai nuove forme di vita degli oggetti tecnici
e da quella che è stata chiamata la terza rivoluzione digitale dei nuovi
artigiani digitali, dei marker e dei fablab.
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