Diceva Paolo fabbri al convegno ferrarese su “Città
e metropoli” dell’ottobre scorso che la città è un fenomeno immaginario: nel
senso che, come tutti avete capito, lo spazio fisico cittadino, l’agglomerato
delle case, delle strade e delle piazze è il luogo di percorsi e traiettorie
che non solo noi compiamo, quotidianamente e eccezionalmente, ma che proprio ci
definiscono. Noi cittadini siamo, cioè, i nostri percorsi, le nostre fermate,
il nostro girovagare nella città. La quale, proprio per questo, non è unica: in
quelli che a noi sembrano gli stessi spazi convivono una città diurna e una
notturna, una città degli adulti e una degli adolescenti, e così via. È chiaro,
diceva sempre Fabbri in quell’occasione, che ci occorrono nuovi modi di
organizzare e di pensare questo spazio, e questi modi, secondo lui, già in
parte esistono: sono, per esempio, strutture ben note ai matematici, come
reticoli, spazi fibrati, topologie, concetti sui quali, per le note carenze
delle nostre capacità divulgative, non ci fermeremo neppure un attimo. Si
potrebbe, volendo, fare addirittura un passo più in là di Fabbri, e dire che la
città, proprio in quanto rete di percorsi individuali e collettivi, non è solo
una metafora del sapere contemporaneo, ma tende in qualche modo ad
identificarsi con esso. Ipotesi tanto più suggestiva quanto più avanza, anche
nello spazio urbano e metropolitano, la presenza “organizzatrice” e pervadente
del calcolatore (nell’organizzazione del traffico, dei servizi e così via). Da
dove poteva venirci l’immagine più viva (in senso letterale, come vedremo) di
questa città, se non dalla fantascienza? Riprendendo un’abitudine ben
consolidata fra gli scrittori di fs (e che ha prodotto, per fare solo un
esempio, gli straordinari affreschi di città di Delany in Babel 17, Nova,
Dhalgreen e Triton), John Shirley, autore delle ultime leve, ci dà il suo
ritratto di città in City Come A-Walkin’,
tempestivamente tradotto in Italia presso Mondadori (Il rock della città vivente, Urania 902 del 4 ottobre 1981). (…)
Shirley, con procedimento tipicamente fantascientifico, decide di uccidere
un’altra metafora e trasformarla in identità. La città contemporanea, con la
sua organizzazione sempre più computerizzata, coi suoi flussi di persone,
veicoli e informazioni, con i suoi “organi di senso” (televisori e telefoni)
assomiglia sempre più a un organismo vivente? Niente affatto, essa è viva in
senso proprio, può addirittura incarnarsi in una persona, e condurre una lotta
contro le nuove mafie dei computer che essa giudica corpi estranei dentro di
sé. Nessuna meraviglia che in uno scenario del genere il linguaggio più
stuzzicante sia quello della musica e del nuovo genere metropolitano,
l’”angoscia rock”; ma neppure ci stupisce che Shirley denunci esplicitamente il
suo debito verso precedenti cantori della città come i classici della
hard-boilled school poliziesca. Non a caso, infatti, la città del romanzo è San
Francisco, e l’impianto narrativo deve molto alla detective story. L’aspetto
più interessante del romanzo sono comunque i percorsi, frammentati e più volte
intersecantisi, dei due protagonisti, in una città in cui tutto è mescolato, le
ragioni e i torti, la realtà e l’utopia, il progetto e il quotidiano. Certo,
non è una novità: il viaggio e la rappresentazione della città sono due
costanti della narrativa di fantascienza, con la quale essa paga i suoi debiti
ad una delle sue progenitrici, la narrativa utopistica. Ma a quali mediocri
risultati costringa una stanca ripetizione dei moduli del viaggio utopico è
dimostrato da una delle ultime opere di Ursula Le Guin, The Eye of the Heron (L’occhio dell’airone1, pezzo forte
dell’antologia Millennial Women,
uscita in USA nel 1978 dalla Delacorte Press. (…) Al suo centro il viaggio, lo
scambio, fra due diverse città (quella autoritaria e maschilista e quella
utopica, non-violenta); ma nonostante gli sforzi il risultato di I reietti dell’altro pianeta non si
ripete, e siamo di fronte a una delle produzioni più deboli della scrittrice
dell’Oregon. La quale, come dimostra invece il risultato di The Beginning Piace (da poco tradotto
in italiano: La soglia, (Editrice
Nord, 1981) sembra recentemente trovarsi più a suo agio nell’universo della
favola, sia pure costantemente riferito e confrontato con la realtà
contemporanea.
- Ursula Le Guin, L’occhio dell’airone, Elèuthera, Milano 1998
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