venerdì 24 marzo 2017

Antonio Caronia: Un'Ambigua Utopia - Luogo comune - ottobre 1978 (2^ parte)





(Sintesi della discussione nel collettivo milanese di Un’Ambigua Utopia)
(Progetto per una nuova serie della rivista)

5. Chiariamo subito, in modo non rituale, che siamo ben lontani dal voler dire una parola significativa su quello che in gergo si chiama “stato del movimento”. Faremo soltanto delle osservazioni molto rozze e disorganiche su qualche aspetto della vita intellettuale che si vive nell’area (o nelle aree) dell’estrema sinistra oggi.                                                                          Chiariamo anche che l’uso della parola “movimento” in questo come in altri nostri testi porta con sé irrisolti una serie di problemi di metodo e di definizione. Con questa parola ci limitiamo ad indicare una serie di comportamenti riscontrabili (isolatamente o tutti insieme) in vasti settori di coloro che militano e fanno riferimento ad organizzazioni di estrema sinistra, di coloro che sono stati toccati in passato o lo sono al presente da movimenti di lotta, o anche di coloro che, pur senza rientrare in alcuna delle due categorie precedenti, esprimono in altre forme quella che abbiamo definito “una tensione verso il cambiamento dello stato di cose presenti”. Che questo insieme di persone, oggi, non sia definibile come “movimento” nel senso della classica definizione (in uso nei classici del marxismo) di “movimento di massa” è cosa pacifica per tutti noi. Che diversi settori di questo “movimento” (in particolare i giovani e le donne) stiano nella situazione che (sempre in termini classici) si definisce “di riflusso”, è anch’essa cosa assodata. È poi vero che questa constatazione assume significati forse diversi per i diversi compagni all’interno del collettivo, ma siamo arrivati alla conclusione che questo non è un ostacolo alla definizione di un progetto e di una pratica (sul terreno che ci interessa) comune.                                                                                                                   Una delle caratteristiche di questa fase che, per intenderci, chiameremo di riflusso, è appunto quella di una crescente esigenza di riflessione. In molti casi è anche un bisogno di pratica, di fare qualcosa, ma comunque non è mai separato dall’altro. Pensiamo, solo per fare un esempio, alla discussione che si sta aprendo nell’area di Lotta Continua: a chi ne è fuori, e quindi non può capirci molto, sembra comunque che si sovrappongano e mescolino diverse tendenze, diverse esigenze: un’esigenza di militanza vecchio tipo, forse, ma anche l’esigenza di poter discutere, influire su quello che si fa nel giornale, a Roma. Ma la proposta che viene fuori è quella di un altro giornale, politico e di riflessione. A noi sembra comunque che il momento delle scoperte inebrianti stia finendo, che la gente voglia capire perché le cose vanno così e non in un altro modo, che voglia in qualche modo “riappropriarsi” anche della teoria. Certo non dovrà più essere una teoria separata dai bisogni. Su molte cose non si torna indietro, e nessuno può riproporre riviste “politiche” o “teoriche” che taglino fuori l’esperienza che in questi anni il movimento ha fatto. Il momento non è neppure maturo per fogli e riviste che propongano comunque, anche all’interno delle esperienze fatte, e delle acquisizioni maturate, dei “punti di vista” complessivi e delle “sintesi” globali. C’è ancora una fase in cui vanno fatti valere, e percorsi fino in fondo, i bisogni specifici di cui ognuno è espressione, e per “ognuno” intendiamo, i singoli, i collettivi, le aree; lavorare a fondo su un tema, un problema, un complesso di temi e di problemi, questo è il metodo che oggi ancora può dare dei frutti nel movimento. Le promesse delle sintesi, non ancora le sintesi.                                                      Ma che sia, oggi come lo fu all’inizio degli anni ’60, momento di riviste4, questo è indubbio. E le riviste che fino a due anni fa, fino allo scorso anno, esprimevano meglio i bisogni di riflessione del movimento, oggi appaiono logorate e invecchiate. Alla rinfusa: QUADERNI PIACENTINI continua la sua marcia di avvicinamento alla sinistra tradizionale, e si “specializza” sempre più sul tema del rapporto con le istituzioni, che invece appare sempre più estraneo ad un discorso di trasformazione radicale; OMBRE ROSSE, che aveva fatto della teoria dei bisogni il suo momento di rilancio, sembra isterilirsi un po’ nella polemica contro l’”autonomia del politico”, i tentativi egemonici dei nuovi intellettuali trontiani dentro e fuori il PCI, e abbandonare invece, e comunque ridimensionare, i terreni che aveva occupato; IL CERCHIO DI GESSO appare travagliato da una discussione interna che, guarda caso, verte proprio su temi del rapporto col PCI e delle possibili mediazioni delle posizioni più diffuse nel 77 a Bologna. Rimane AUT AUT, che continua invece a offrire dei buoni materiali, ma forse è sempre un po’ illeggibile per chi non sa il tedesco, e insomma, a parte gli scherzi, sta sempre una spanna più in su di quello che ci servirebbe.                         E si moltiplicano poi, a riprova di quanto dicevamo prima, gli esperimenti, i numeri unici, i fogli legati a bisogni ed esigenze particolari. Testimonianza comunque di una vitalità, di un bisogno di esprimersi e di comunicare, anche se non sempre sanno essere sereni testimoni delle crisi che vivono (potrà dispiacerci, ma è un dato di fatto) i temi propostici dal movimento in questi ultimi anni.
6. C’è dunque un’area di compagni che leggono fantascienza e letteratura fantastica, e lo fanno più o meno coscientemente in connessione con la loro passata o presente esperienza politica o di lotta. C’è una domanda di riflessione a sinistra, su certi temi e problemi inerenti ad una teoria e ad una pratica di trasformazione collettiva della vita, di superamento dello stato di cose presenti, temi e problemi che abbiamo verificato essere aggredibili anche a partire dal terreno della fantascienza. In entrambi i casi c’è insufficienza o crisi degli strumenti che si offrono, nei vari scomparti del mercato editoriale, su questi terreni.                                                                                                        Nell’anno della sua esistenza, UN’AMBIGUA UTOPIA ha cominciato a porsi, con molte insufficienze e molte approssimazioni, su questo terreno. Da quanto si è farraginosamente fin qui detto, le domande che discendono ci sembrano imporsi con tutta evidenza: crediamo che ci sia uno spazio maggiore di quello che occupiamo finora, come AMBIGUA UTOPIA? intendiamo occuparlo? con quali miglioramenti e trasformazioni della rivista e del collettivo? di che cosa abbiamo bisogno per realizzare un eventuale progetto in questo senso? Alle prime due domande rispondiamo sì. Tutte le considerazioni che abbiamo svolto finora ci portano a concludere che possiamo raggiungere strati di lettori più vasti di quelli che abbiamo raggiunto finora. È un problema di qualità del prodotto (per dirla in termini industriali: e di questo parleremo al prossimo punto) e di bontà della distribuzione. Ma lo spazio esiste, e l’interesse crescente intorno a noi e alle nostre iniziative testimonia del fatto che abbiamo le possibilità di coprirlo. Non partiamo da zero: abbiamo un piccolo patrimonio, che è la nostra discussione, le poche cose che abbiamo prodotto, il rapporto coi lettori. Si tratta di ampliare tutto questo. Si tratta certamente di un rischio: nulla ci è garantito a priori. Ma non correrlo ci lascerebbe con la bocca amara di chi ha intravisto delle possibilità, e non le ha sfruttate per (diciamo così) poco coraggio. Per usare l’elaborata immagine che ha introdotto nel nostro dibattito il barocco Roberto Del Piano, siamo nella situazione di chi ha assaggiato un pasticcino quasi per caso, gli è piaciuto, si sta trovando adesso a mangiare una torta ed esita ad entrare nella pasticceria per paura che gli venga un’indigestione. Certo, se entra rischia forse l’indigestione, ma se non entra è sicuro che non assaggerà nessuna di quelle altre torte che stanno lì dentro: e ce n’è qualcuna che ha un aspetto proprio invitante…                                          
7. È dunque deciso che la rivista dovrà sforzarsi di diventare, più di quanto non abbia fatto finora, un punto di riferimento (uno dei punti di riferimento) per una discussione e, possibilmente, una pratica, sui temi della fantascienza e del fantastico in connessione con i bisogni di chi la legge, ma anche con la capacità di coinvolgere compagni e persone non “appassionati”, magari neppure lettori di fantascienza in senso stretto. Vogliamo proporci, cioè, come LUOGO COMUNE (nel senso letterale, e non traslato, dell’espressione), come luogo di intersezione di una serie di temi e di interessi, fra loro collegati, quelli che abbiamo cercato di tratteggiare dall’inizio di questo testo.           Come realizzarlo, dal punto di vista della formula e dei contenuti della rivista? Occorrerà uno stravolgimento, un cambiamento radicale di UN’AMBIGUA UTOPIA come si è presentata finora? A nostro parere, no. Occorrerà certo introdurre miglioramenti. Ma, grosso modo, l’equilibrio interno della rivista quale si è presentato, complessivamente, nei primi quattro numeri, deve essere mantenuto. Per migliorare, bisognerà procedere in tre direzioni:                                                                 a) innanzitutto abbiamo la necessità di produrre (o comunque di far comparire sulla rivista) delle analisi più approfondite su autori, correnti, temi della fantascienza e della letteratura fantastica. Sarebbe certo ingeneroso dire che quanto abbiamo finora prodotto su questo tema è stato tutto superficiale e pressapochistico, ma sarebbe anche presuntuoso dire che non si poteva fare di meglio. Quali criteri seguire? Non certo quelli di una critica letteraria “tradizionale”, né nel senso crociano della distinzione fra “poesia” e “non poesia” (un po’ ridicola, del resto, applicata alla produzione letteraria di massa), né in qu3ello, sotto sotto molto zdanoviano, piattamente contenutistico, ciò ci porterebbe a riprodurre tutte le volte la contrapposizione ridicola e fuorviante tra autori “reazionari” e autori “progressisti”. Lo scopo dovrebbe essere, usando tutti gli strumenti che di volta in volta saremo capaci di usare, la decodifica dei messaggi cifrati che una certa opera porta con sé (ma, oddio, che può anche non recare affatto), lo smontaggio dei meccanismi, a volte rozzi, a volte raffinati, che gli autori usano per raggiungere l’effetto voluto, e di quelli che applicano inconsapevolmente, e anche, perché no?, la lettura, nella trama del testo, dei rimandi alle contraddizioni sociali di cui poi, in fondo, ogni autore è (con tutte le mediazioni del caso) l’espressione. Tutte cose che, in linguaggio raffinato, potrebbero portare l’etichetta di “analisi testuale”, e “sociologia della letteratura”, e altre ancora. Diciamo più modestamente che ci proponiamo di fare, al miglior livello possibile, critica della cultura di massa. Le possibilità ci sono, dentro e fuori il collettivo.                                                                                                                           b) potremo avere la necessità di affrontare, di volta in volta, dei temi e dei nodi, diciamo pure più schiettamente “politici”, fra quelli che si pongono all’interno del movimento. Pensiamo, un po’ alla rinfusa, alla droga, alla corporalità, alla crisi della scienza, al rapporto uomo-donna. Potrà succedere, questo, in relazione ad un tema monografico che decidiamo autonomamente di affrontare, ma anche forse in relazione a fatti o discussioni che ci si impongono dall’esterno con la forza della loro centralità, in un dato momento, nella discussione dei compagni, e quindi anche dei nostri lettori. E gli articoli in questione non dovranno avere per forza un taglio “fantascientifico” o dei riferimenti a libri o film di fantascienza. Neppure questa è una novità. Nel n.3, sia Arcari che Cesati parlavano dei robot da punti di vista “esterni” alla fantascienza, ma i loro pezzi si inserivano perfettamente (al di là del giudizio di merito) nell’equilibrio del numero.                                              Dal momento, però, che questo è uno dei punti che hanno suscitato più discussioni nel collettivo, è bene forse spenderci qualche parola in più per dissipare equivoci, certamente chiariti ormai al nostro interno, ma che potrebbero riproporsi con compagni che non hanno vissuto con noi, giorno per giorno, questa discussione. La proposta di inserire (non obbligatoriamente in ogni numero, ma quando se ne sente l’esigenza) articoli o interventi più dichiaratamente “politici” non significa trasformare la rivista in rivista prevalentemente politica; né il riferimento all’intreccio fra temi della fantascienza e temi del movimento vuol dire proporre di trasformare la rivista in rivista “di movimento”. Una rivista di movimento, se le parole hanno un senso, è l’espressione di un movimento, o di settori di esso; una rivista politica è l’espressione di un gruppo politico o di un partito, o comunque di un’area politica con sue tesi e posizioni precise sul dibattito in corso. Non essendo il collettivo né l’una né l’altra cosa, la rivista non può evidentemente avere nessuna di quelle caratteristiche. Noi vogliamo invece continuare ad essere una rivista, per così dire, di proposta e di riflessione su quei temi che abbiamo già individuato (creatività, fantastico, crisi della scienza, ecc.) e utilizziamo e intendiamo continuare ad utilizzare la fantascienza per il suo carattere di intersezione, dentro la cultura di massa, di tutti quei temi. Non intendiamo, quindi, abbandonare o rendere marginale questo terreno a vantaggio di altri, anche se intendiamo continuare a farlo alla nostra maniera: e quindi ci teniamo, per esempio, a distinguerci dalle ordinarie “fanzine” (per questo abbiamo, per esempio, dichiarato la nostra indisponibilità ad un progetto di unificazione delle fanzine esistenti). Vorremmo essere, questo sì, una rivista sulla fantascienza e sul fantastico “nel” movimento. Ma questo, come è chiaro, è un’altra cosa.                                                                             Vale la pena di chiarire a questo punto un’altra questione su cui possono sorgere dubbi. Il continuo riferimento da parte nostra al movimento del 77, al movimento giovanile, a quello femminista, non implicano uno schieramento nella discussione sul cosiddetto “referente politico”, e, per usare un termine più pomposo, sul soggetto storico della rivoluzione italiana, europea e mondiale. Quel riferimento è una presa d’atto che solo quei movimenti, per il momento, si sono pronunciati in qualche modo (e non vogliamo neanche commentare il come si sono pronunciati) sui temi che ci interessano e su cui lavoriamo, e che presumibilmente persone che sono passate attraverso quelle esperienze, come quelle dei gruppi organizzati della sinistra rivoluzionaria, costituiscono la maggioranza dei nostri lettori (o almeno di quelli più interessati).  Non significa dunque affatto che il collettivo abbia una posizione comune sulla previsione (peraltro peregrina, formulata in questi termini) di chi farà la rivoluzione, se gli operai, i giovani, le donne, e i bambini; o se sia giusto basare le proprie speranze più sui precari e in genere i non-garantiti che non sui garantiti. Riteniamo anzi che non sia affatto produttivo confrontarsi così, in astratto, fra noi o sulla rivista su quei temi. UN’AMBIGUA UTOPIA ha un ambito di lavoro e di discussione che è specifico, e delle ipotesi, diciamo di lavoro culturale (non troviamo termini migliori per il momento) che prescindono, nella fase attuale di sviluppo della discussione, da temi di quel genere. Chiusa la lunga parentesi.                 c) c’è un terzo terreno sul quale bisogna procedere per qualificare meglio la presenza della rivista. È un terreno molto controverso, e su cui forse abbiamo impiegato troppo tempo ad operare delle scelte. Intendiamo parlare della produzione narrativa (o letteraria, se si vuole, più in generale) di fantascienza. In effetti lo sviluppo del nostro discorso risulterebbe monco se non vi affiancassimo un lavoro di promozione e di stimolo di un modo nuovo non solo di leggere la fantascienza, ma anche di scriverla. Anche su questo terreno dobbiamo darci una fisionomia ben precisa; senza escludere (trascurando per il momento la questione dei costi) la pubblicazione (traduzione) di testi stranieri, è evidente che il nostro interesse prevalente deve andare alla produzione italiana inedita, e in modo particolare ai testi che nascono, per così dire, all’interno del movimento, cioè da compagni, giovani, persone che trasferiscono in racconti, romanzi o testi di fantascienza una parte della loro esperienza di lotta e di riflessione. Noi siamo convinti che in parte questa produzione esiste già, e in parte si tratta di stimolarla. Naturalmente neanche qui abbiamo la pretesa di fare un discorso radicalmente nuovo: non è da oggi si sa che i compagni producono testi di ogni tipo. La cosa più eclatante è stato finora il fenomeno poesia, anche perché, ad un certo livello (e lo diciamo senza disprezzo), la poesia è la forma di espressione più “facile”, quella che sembra più spontanea (sappiamo che è tutt’altro che così, ad altri livelli). E poi c’è questo discorso sulla spontaneità, che a lungo andare rischia di diventare una palla al piede… Certo, se dobbiamo forzare i nostri pensieri e le nostre emozioni dentro quel minimo di struttura che l’opera narrativa richiede (tradizionale o “d’avanguardia” che sia), le cose risultano più difficili. Ma siamo sicuri che il materiale c’è. Occorrerà studiare meglio le forme per propagandare questa iniziativa (certo bisognerà usare anche altri canali oltre UN’AMBIGUA UTOPIA; forse un “concorso di narrativa non competitivo” potrebbe andare; ma ne discuteremo ancora); però, fra l’altro, i primi racconti cominciano ad arrivare appunto spontaneamente. Abbiamo cominciato sul n°4 con una scelta forse discutibile. Ma intanto aspettiamo i giudizi dei lettori.


Nota 4: Per una storia delle riviste di quegli anni: Attilio Mangano, Le riviste degli anni Settanta, Centro di documentazione di Pistoia, Pistoia, 1998.

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