lunedì 8 gennaio 2018

Antonio Caronia: L'utopia addomesticata

Maurizio Giannoni
Ma l’utopia non era morta? Non si era inabissata con la crisi del ’29, l’industrializzazione forzata in URSS, e lo scioglimento dell’Internazionale situazionista? Ci sbagliavamo. L’ha fatta risuscitare Ernest Callenbach, che, secondo il Los Angeles Times (i cui redattori hanno a disposizione, evidentemente, più informazioni di noi) è “il nome più attuale dopo Wells, Verne, Huxley e Orwell”: i redattori della prossima enciclopedia dell’utopia prendano nota. L’utopia resuscitata dal predetto signore, col nome opportunamente attualizzato di Ecotopia (Mazzotta editore, 1979, 224 pagg., 3.500 L.) ha però tutto l’aspetto dello zombie: è una morta vivente, la cui putredine fa capo ad ogni passo sotto il belletto ecologico. Callenbach ha ripreso pari pari il modello classico del viaggiatore nel paese di Utopia. Il viaggiatore è William Weston, inviato speciale del New York Time Post, e l’Utopia è Ecotopia, il nuovo nome assunto dall’Oregon, dalla Carolina del Nord e dallo stato di Washington dopo una secessione dagli USA nel 1980. Dopo 19 inevitabili anni di separazione, gli ecotopiani aprono le frontiere al prestigioso giornalista, di cui possiamo leggere un mixage di articoli “ufficiali” e diario personale. Non di più, perché sono bastati due mesi al brillante inviato per decidere di trasferirsi definitivamente in Ecotopia. Il viaggio, scrive al direttore con la coscienza di dover scrivere la frase finale del libro, “ha finito per portarmi a casa mia”. Callenbach ha scelto di ricopiare a carta e carbone il modello classico, e quindi non potremo rimproverargli la legnosità e la didatticità del libro: ma, vivaddio, i viaggiatori dell’utopia classica mostravano un po’ più di distacco! Questo Weston è consapevole fin dall’inizio che toccherà a lui, e alla sua scelta eclatante finale, di mostrare agli occhi increduli americani del 1999 (che poi sono quelli del 1975, anno di pubblicazione originale del libro) la superiorità dell’utopia ecologica, e i tentativi  suoi (e di Callenbach) di nascondercelo falliscono pietosamente. Tutto questo è molto irritante (come tutte le offerte di consolazione non richieste), e irritante è il modello proposto: che – non facciamoci ingannare dalla vernice “ecologica” – è poi quello di una rivoluzione non violenta, non anarchica, ecologista, graduale, pragmatista, federalista, cooperativista; è l’utopia individualista del farmer, legato alla terra, che sogna la “concorrenza perfetta”. Tutto questo in un momento in cui anche il governo federale USA maschera la sua riduzione delle spese sotto lo slogan “piccolo è bello”. Propaganda, quindi, e scritta pure male.

Se vogliamo restare nel campo delle utopie “rurali”, ben più interessante appare Viaggio di mio fratello Aleksej nel paese dell’utopia contadina, apparso nel 1920 in URSS a firma di Ivan Kremmnev, pseudonimo sotto cui si nascondeva l’economista e letterato menscevico Aleksandr V. Cajanov, che sarebbe poi stato fucilato nel corso di una delle tante ondate di purghe nel 1939 ad Alma-Ata. Ce lo ha riproposto sempre nel 1979 Einaudi (Nuovo Politecnico, 116 pagg., 2.500 L.), con una breve introduzione di Vittorio Strada e un saggio originale di L. Certkov, dal quale apprendiamo che la parte più consistente dell’attività letterari di Cajanov consistette in alcune “novelle romantiche” (che noi chiameremmo piuttosto racconti fantastici), e che non è improbabile qualche influenza da lui esercitata su Bulgakov. Il Viaggio nell’utopia contadina descrive una Russia del futuro in cui i partiti contadini hanno preso il potere, eliminato il pericoloso centralismo e autoritarismo bolscevichi, e riorganizzato la Russia con la rivoluzionaria misura della proibizione delle città di più di ventimila abitanti. Le città sono diventate dei luoghi di transito, di ritrovo e di divertimento della popolazione rurale, e lì si svolge gran parte dell’attività culturale che entusiasticamente e ingenuamente forse, Cajanov immagina diffusa in profondità nella popolazione. Molti tratti di questa utopia, però, ricordano da vicino il sistema sovietico come si andava effettivamente realizzando, con la sola sostituzione di soviet e partiti contadini a quelli operai; e la stessa produzione artistica e culturale non appare più dissimile – a giudicare dalle descrizioni – dal realismo socialista. Ma, a parte la gradevolezza della scrittura, ci sono due elementi che raccomandano la lettura di questa operina. In primo luogo il suo effettivo collegamento con il dibattito in corso allora e negli anni seguenti in URSS, sul tipo di modernizzazione e di industrializzazione necessario per lo sviluppo del paese (e non poteva che essere così, visto che Cajanov fu, fino al 1929, un economista attivo, anche con incarichi ufficiali). E poi una curiosa ambiguità del Viaggio, nel quale (forse anche a causa della sua incompiutezza) la tesi dei “ruralisti”, per quanto indubbiamente vicine alle tesi di Cajanov, non sono difese in modo esclusivo, e spesso affiorano critiche implicite ai difetti del sistema utopico contadino da lui stesso delineato. Come tutte le utopie, dice Strada, anche questa è a doppio taglio: “stimola il pensiero critico e disegna sogni illusori”.

(Pubblicato in Un'Ambigua utopia n. 1 I° trimestre 1980)

Sull'Utopia:
Antonio Caronia: Utopia e fantascienza. Un menage difficile. 1^ Parte http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2017/12/antonio-caronia-utopia-e-fantascienza.html  2^ Parte http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2017/12/antonio-caronia-utopia-e-fantascienza_11.html 
Giuliano Spagnul, Distruggere l'utopia. http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2016/12/distruggere-lutopia-di-giuliano-spagnul.html 

Nessun commento:

Posta un commento